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(c) Ideazione.com 2008
Direttore responsabile: Barbara Mennitti
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Redazione: piazza 
Sant'Andrea della Valle, 6 - 00186 Roma
Tel: 0668135132 - 066872777 - Fax: 0668135134
Email: redazione@ideazione.com

	
	Il voto non risolverà i problemi dell’Italia
	L’Economist 
	analizza la campagna elettorale evidenziando punti di forza e di debolezza 
	di tutti gli schieramenti in campo, concentrando l’attenzione sui due 
	principali contendenti. Di Veltroni apprezza la volontà di rinnovamento ma 
	rileva il peso dell’impopolarità del precedente governo di centrosinistra e 
	la pretestuosità di accreditarsi come l’Obama d’Italia: non ne ha né il 
	carisma né la retorica, afferma impietosamente il settimanale inglese. A 
	Berlusconi riconosce tenacia ma ne evidenzia l’età, lo sbilanciamento a 
	destra del suo raggruppamento e, soprattutto, l’insuccesso delle sue 
	esperienze di governo. Per l’Economist, il Cavaliere non è più unfit: 
	semplicemente ha già fallito. Una breve descrizione della sinistra 
	ecologista e del centro completano il reportage. L’articolista deve 
	ricorrere alla principessa Alessandra Borghese per trovare uno spunto nuovo 
	con cui introdurre l’articolo. Come accompagnamento, un
	
	reportage da Napoli dove si fa il punto sulla questione immondizia e sui 
	nuovi allarmi per la mozzarella di bufala: il quadro non è positivo.
Alla obamizzazione di Walter Veltroni da credito invece lo Spiegel, il cui reportage sfiora in alcuni momenti toni epici. Non è una novità: in Germania Berlusconi tocca il suo picco di impopolarità continentale. Fosse anche il diavolo il suo avversario, si troverebbe il modo di innalzarlo agli altari. L’attenzione del settimanale tedesco è tutta per la strategia del leader del partito democratico ma l’articolo è francamente di parte. Ha tuttavia il merito di evidenziare le novità politiche che Veltroni ha introdotto nello schiaramento di sinistra e di ammettere che, nonostante tutte queste meraviglie, la destra è avanti nei sondaggi.
	
	In primo piano il dibattito sul boicottaggio delle 
	Olimpiadi
	In primo piano, questa settimana, il dibattito che si è aperto in Europa (ma 
	curiosamente non in Italia, dove pure è in corso la campagna elettorale), 
	sull’opportunità di boicottare le Olimpiadi cinesi dopo l’ondata di 
	repressione che Pechino ha scatenato contro il Tibet. Ne abbiamo parlato su
	
	Ideazione nel corso della settimana ma le prese di posizione dei vari 
	leader si sono nel frattempo precisate e il confronto s’è fatto più acceso. 
	Il presidente francese Nicolas Sarkozy sembra porsi alla testa del gruppo di 
	Paesi propenso a far la voce grossa. Scartata l’ipotesi di un boicottaggio 
	totale (visti anche gli infruttuosi precedenti di Mosca e Los Angeles e il 
	desiderio di non chiudere completamente le porte al dialogo), si fa strada 
	l’idea fortemente simbolica di non partecipare alla cerimonia di apertura, 
	che in ogni manifestazione sportiva rappresenta il momento più politico, 
	quello in cui il Paese ospitante presenta se stesso. Dopo un primo accenno 
	in patria, Sarkozy ne ha esplicitamente parlato in occasione della visita in 
	Gran Bretagna, affermando di voler avviare un confronto fra tutti i premier 
	europei per valutare l’opportunità di una posizione comune.
	
	Liberation sottolinea però come, da subito, le posizioni europee tendano 
	a divergere. Il summit anglo-francese ha evidenziato molti punti in comune, 
	non però sulle Olimpiadi: Gordon Brown, infatti, a Pechino ci sarà.
	
	Varsavia boicotta Pechino, il premier ceco va in 
	ospedale
	Chi invece sembra avere le idee chiarissime in proposito è il premier 
	polacco Donald Tusk. Lui ha assicurato che all’inaugurazione
	
	non ci sarà. La Polonia inoltre è al centro di un’azione 
	diplomatica promossa da due Ong, il Comitato Helsinki e la Helsinki 
	Foundation for Human Rights, che spinge Varsavia a promuovere la nomina di 
	un responsabile europeo per coordinare la posizione verso Pechino dei 27 
	Stati membri dell’Unione. Dal canto suo, il quotidiano liberal
	
	Gazeta Wyborcza ospita un’intervista con Malgorzata Glinka, presidente 
	del comitato olimpico polacco, che (a differenza del suo collega tedesco
	
	Thomas Bach che tante polemiche ha scatenato in Germania) lascia liberi 
	gli atleti polacchi di boicottare o meno i giochi olimpici. E pur 
	dichiarando di voler essere presente alla cerimonia di apertura (“Sono i 
	miei primi giochi olimpici”) si dice disponibile al boicottaggio qualora il 
	suo governo glielo chiedesse.
Curiosa la posizione della Repubblica ceca. Il nuovo capo dello Stato Vaclav Klaus fa sapere che non sarà a Pechino, ma solo perché per il giorno dell’inaugurazione è già prenotato per lui un posto in sala operatoria. Il premier Mirek Topolanek lascia invece la scelta al suo governo: decideranno i ministri tutti insieme, con voto a maggioranza. Ce ne da notizia in una breve il settimanale in lingua tedesca Prager Zeitung.
	
	Quando Hitler utilizzò le Olimpiadi del 1936
	La protesta tibetana continua a tenere le prime pagine dei giornali. E i 
	settimanali trovano spunti di approfondimento per tenere il passo 
	dell’informazione. In Germania, la
	
	Frankfurter Allgemeine ci offre una ricostruzione storica di come Adolf 
	Hitler strumentalizzò i giochi olimpici di Berlino del 1936 per la gloria 
	del Terzo Reich. La
	
	Zeit, che sette giorni fa aveva pubblicamente preso posizione contro il 
	boicottaggio delle olimpiadi cinesi, recupera pubblicando un lungo reportage 
	sulle tecniche di osservazione satellitare che consentono di aggirare la 
	censura. Una panoramica su tutte le aree di crisi (dall’Asia all’Africa) e 
	sul lavoro di indagine svolto da molte organizzazioni internazionali.
	
	L’Azerbaigijan sogna i cinque cerchi nel 2016
	Per chiudere con l’argomento olimpico, se la Russia è in fase di avanzata 
	organizzazione delle Olimpiadi invernali di Sochi del 2014, l’Azerbaijan 
	sogna l’assegnazione di quelle estive nel 2016. Probabilmente resterà un 
	sogno. La notizia è tuttavia indicativa di un mondo che si evolve 
	velocemente e della voglia di emergere di nazioni appartenenti ad aree fino 
	a qualche decennio fa completamente marginali.
	
	Radio Free Europe/Radio Liberty è andata a curiosare nel complesso di 
	Masalli, 250 chilometri a sud di Baku.
	
	Polonia e Macedonia tra Europa e Nato
	Rapido ritorno in Polonia per la polemica riaperta dai gemelli Kaczynski 
	sulla ratifica del trattato di Lisbona. La polemica populistica si alimenta 
	di se stessa e dei propri miti eterni. Così quello che appena qualche mese 
	fa era stato sbandierato come un fantastico compromesso ottenuto grazie alla 
	tenacia dei gemelli (allora tutti e due al potere) oggi non va più bene. I 
	Kaczynski smentiscono se stessi, appoggiati dal coro assordante della stampa 
	schierata al loro fianco. Donald Tusk e il suo governo oppongono 
	ragionevolezza, e speriamo che basti. Per ora sembra così. Il quotidiano
	
	Gazeta Wyborcza pubblica un sondaggio, secondo il quale il 60 per cento 
	dei polacchi ritiene che Varsavia dovrebbe firmare il trattato. Schiacciante 
	la maggioranza tra i laureati e i giovani. In lingua italiana e polacca, 
	l’analisi di Paolo Morawski sul blog
	
	Polonia mon amour.
Vertice della Nato a Bucarest, la prossima settimana. Tiene banco la posizione della Macedonia che teme il veto della Grecia a causa del nome. Si lavora a una mediazione e sembra incredibile che un Paese evoluto come la Grecia possa ancor oggi frenare l’evoluzione dell’area balcanica (che è soprattutto un suo interesse nazionale) per questioni nominalistiche. Il ministro degli Esteri macedone, Antonio Milososki, offre alla Frankfurter Allgemeine uno spunto convincente: più che mantenere la Nato nei Balcani, cominciamo a portare i Balcani nella Nato. Il futuro dell’Alleanza atlantica resta un dibattito aperto fra gli esperti. Radio Free Europe/Radio Liberty ci descrive invece i passi avanti di Ucraina e Georgia. Per le ex repubbliche sovietiche non c’è crisi strategica che tenga. La Nato è l’Occidente: simply, test the West.
	
	Tutti pazzi per Carla
	Per chiudere un’annotazione tra costume e politica sul viaggio del 
	presidente francese Nicolas Sarkozy in Gran Bretagna. La scorsa settimana 
	avevamo evidenziato lo scetticismo dell’Economist. Ma il settimanale inglese 
	non aveva fatto i conti con la carta segreta dell’Eliseo: Carla Bruni. Guai 
	a sottovalutare le donne, anche quando sono relegate all’apparente ruolo di 
	comprimarie. L’ex modella italiana ha conquistato la scena e ha fatto 
	brillare di luce riflessa l’appannato marito. L’Inghilterra, Paese orfano 
	della sua Diana, pare aver rivisto nello charme di Carla Bruni la figura 
	gentile a lungo rimpianta. I paragoni: Lady Diana per la grazia, come scrive 
	l’International 
	Herald Tribune; Jackie Kennedy per lo stile, come sostiene il
	
	Corriere della Sera. Improponibile, invece, quello con la povera 
	Camilla, come ci dice lo
	
	Spiegel. Come che sia, Sarkozy ne ha tratto vantaggio, anche se poi ha 
	replicato a muso duro a un giornalista del Figaro che, in conferenza stampa, 
	gli aveva fatto notare come sua moglie gli avesse completamente rubato la 
	scena: il siparietto non è sfuggito al
	
	Times.
	
	Le Figaro comunque pubblica un sondaggio, secondo il quale i francesi 
	sembrano apprezzare il cambio di stile del presidente. In attesa 
	dell’analisi politica dell’Economist (farà marcia indietro?) quella non 
	disinteressata del tedesco
	
	Der Spiegel.

|  Le riflessioni di un filosofo sul mondo che cambia. _____________  Un occhio indiscreto e dissacrante nei Palazzi del potere. _____________  _________________ IL POST I migliori post del giorno selezionati dai blog di Ideazione. _____________ IDEAZIONE DOSSIER Analisi, approfondimenti e reportage. 
		
		
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