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[18 mar 08]

Il piatto ricco dell'altra Europa

Qualche anno fa, a comparare la vivibilità delle città dell’Europa occidentale con quelle dell’altra metà del Continente, si rischiava di esser presi per matti. Si concedeva alle grandi capitali tipo Praga o Budapest una qualche chance legata alle bellezze monumentali e allo charme malinconico dei ponti sulla Moldava o sul Danubio. Nulla di più. L’Occidente era sempre e comunque il mondo dei privilegiati, di quelli che non avevano vissuto le miserie del comunismo, che avevano conosciuto la libertà e con essa il benessere e la ricchezza. Per gli altri, i fratelli ritrovati e appena usciti dal congelatore della storia, solo compatimento e al limite qualche battuta. Non sempre affettuosa. Come se le distanze dovessero rimanere eterne. Come se il mondo, e nel suo piccolo anche l’Europa, non dovesse mai muoversi. Torna alla mente la fatica con la quale, sempre qualche anno fa, si tentava di spiegare, a interlocutori che non avevano alcuna voglia di stare a sentire, come già allora nella provincia dell’Est non fosse raro imbattersi in città con una qualità della vita superiore a quella di molte zone dell’Europa dell’Ovest. “A Debrecen (un paesino dell’Ungheria orientale) non ci sarà la mozzarella di bufala – dicevo – ma quando si attraversa la strada sulle strisce pedonali le auto si fermano, rispettano i pedoni e non si rischia la vita”.

Esempi banali, di vita quotidiana, dietro i quali però si nascondevano alcune verità, storiche e civiche. Gran parte dei Paesi poi finiti nell’orbita sovietica appartenevano a quella Mitteleuropa che, prima di divenire un mito letterario e romantico, era la macro-regione più industrializzata del Continente (esclusa la Gran Bretagna che, infatti, non è sul Continente). Una potenza industriale che coniugava modernità e senso civico. Non ci voleva molto a immaginare che, superati i primi anni del difficile processo di riconversione economica e sociale dalla pianificazione al libero mercato e dal totalitarismo alla democrazia, questi Paesi avrebbero rapidamente recuperato il terreno perduto, riesumando quelle qualità come operosità e disciplina iscritte nella loro tradizione. I segnali erano già evidenti a chi viaggiava in quegli Stati con la mente e gli occhi sgombri dagli stereotipi. E in attesa che arrivasse la ricchezza, in molte città era già possibile beneficiare del senso civico. Ora sono arrivati anche i soldi, che sembrano diventati (a torto) l’unica unità di misura valida per misurare i progressi di un Paese. Con i soldi fioccano anche i primati. Di recente l’Eurostat (l’istituto europeo di statistica) ha pubblicato una nuova graduatoria delle città europee basata sul pil pro capite a parità di potere d’acquisto. E ci si è accorti che alcune capitali dell’Est hanno superato non solo la media europea ma anche tante città italiane.

Due casi hanno fatto un certo scalpore anche da noi: Praga e Bratislava. La cui ricchezza ha superato non quella di problematiche città del Mezzogiorno ma quella di Bolzano, la cui provincia, sempre secondo l’Eurostat, risulta essere la più ricca d’Italia. Fatta 100 la media europea, il pil procapite di Bolzano è del 136,7 per cento, quello di Bratislava del 147,9 e quello di Praga addirittura del 160,3. Oltre la media troviamo anche Budapest (104,9) e Lubiana (104,7) i cui dati spiccano rispetto al ritardo delle rispettive nazioni. Non si tratta di casi isolati, pronti a ridimensionarsi nei prossimi anni, ma di una vera e propria rivoluzione nella graduatoria della ricchezza continentale di cui non tarderemo a misurare anche gli effetti geo-politici. Che non saranno indolori per quei Paesi – Italia in prima fila – che vivono da tempo una lunga fase di declino. E che hanno perduto per strada le opportunità di avviare con i Paesi ex orientali oggi alla ribalta un rapporto serio e proficuo di collaborazione. Un segnale per quell’Europa occidentale che ancora si attarda a crogiolarsi sugli allori di un passato che evapora assai velocemente. Un indiretto elogio alle politiche di allargamento perseguite nell’ultimo decennio dall’Unione Europea. Una spinta ulteriore per l’altra metà dell’Europa che vede concretizzarsi gli sforzi compiuti nella transizione, sforzi che sono costati lacrime e sangue ma che oggi vengono compensati dal successo. Un monito per quei Paesi come l’Italia o la Francia, che dovranno riporre nel cassetto gli stereotipi classici (le belle ragazze in attesa del principe azzurro o gli idraulici polacchi pronti a rubare il lavoro agli idraulici francesi) e rimboccarsi le maniche per evitare che diventi definitivo questo ennesimo sorpasso.

 

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