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[11 mar 08]

In bici nella Berlino degli scioperi

Non è vero che essere italiani, cioè essere in qualche modo avvezzi a cavarsela durante i tanti scioperi che costellano la vita quotidiana nel nostro Paese, aiuti a vivere con maggiore disinvoltura gli scioperi all’estero. Berlino è nel mezzo di settimane surreali. Da mercoledì scorso, 5 marzo, sono in sciopero i lavoratori della Bvg, l’azienda locale del trasporto pubblico: metropolitana (U-Bahn), autobus, tram. Chi ha avuto la ventura di venire almeno una volta in questa affascinante capitale europea, sa che la mobilità pubblica è assicurata anche da un’altra metropolitana, la S-Bahn, nata nella prima metà del secolo scorso per collegare le principali stazioni ferroviarie della città. S-Bahn, infatti, sta per Stadt Bahn, ferrovia cittadina. La società appartiene alla Deutsche Bahn. Di fatto, è una metropolitana di superficie, ma nel vero senso della parola: non ha nulla a che fare con i tram che da noi viaggiano in corsia preferenziale. Si tratta di un vero e proprio tracciato ferroviario sopraelevato che, integrato con la metropolitana sotterranea, forma il più efficiente sistema di trasporto pubblico in una città europea. E’ anche per questo che il traffico stradale, a Berlino, è una gioia per gli incalliti automobilisti: gli ingorghi, quando si formano, fanno notizia e finiscono puntualmente sui giornali del giorno dopo, nella cronaca cittadina.

Finora il servizio assicurato dalla S-Bahn ha salvato la città dalla paralisi. Ma da mesi, anche i macchinisti delle ferrovie sono in agitazione. E il rischio è che, a Berlino, si fermi pure la S-Bahn. La paralisi sarebbe totale. E lunedì ci si è andati vicino, con un accordo strampalato raggiunto nella notte, poche ore prima che la città dovesse affrontare l’incubo al quale si stava preparando da giorni: il più grande sciopero da decenni, come titolavano i giornali a caratteri cubitali. Ad oltranza. Evviva. Se è vero che qui, in genere, si sciopera poco, è ancor più vero che, un po’ come accade in Francia, quando si parte non ci si ferma più. Neppure di fronte alle esigenze di quattro milioni di cittadini residenti, più altri quattro che ogni giorno pendolano da ogni parte del Paese verso la capitale. E no, per tornare all’inizio dell’articolo, non è sufficiente essere italiani e aver accumulato una lunga esperienza di sopravvivenza agli scioperi per cavarsela. Quando un italiano viene paracadutato in un posto teoricamente efficiente come questo, si adagia, si affida completamente alla funzionalità del sistema, ne fa un dogma come e più dei nativi.

La Germania non è la Scandinavia, ma l’effetto che suscita in noi italiani il passaggio dal caos romano all’ordine berlinese è lo stesso. A buttarla in politica, direi che ci si “socialdemocraticizza” un po’, forse un po’ troppo. La regolarità di tram, metro e autobus è una legge assoluta. Si giunge con aria sicura alla fermata stabilita sapendo già in anticipo (per averlo letto qualche minuto prima di uscire da casa sull’altrettanto efficientissimo sito Internet della Bvg) quando il treno o il bus arriverà. E sul tabellone luminoso compare esattamente il tempo di attesa che ci attendevamo. Di più: basta contare i secondi ed ecco, puntuale, spuntare all’orizzonte il mezzo atteso. Ancora: se se ne perde uno, inutile disperarsi, tempo pochi minuti e arriva il successivo. L’unico svantaggio è che l’inaffidabilità dei mezzi pubblici non può essere utilizzata come scusa quando si è in ritardo agli appuntamenti. Dunque noi italiani, così creativi, così straordinari nell’aggirare gli ostacoli, cadiamo nel panico in giornate come queste. Uno dei motivi d’orgoglio nei confronti dei connazionali rimasti in patria viene meno. In più i nuovi amici tedeschi si attendono da noi qualche espediente risolutivo e a noi non resta altro che appellarci agli stereotipi più consumati: prendetela con allegria e filosofia, la vita è bella. Una parola. In realtà subentra il terrore e, come bambini alla prima uscita senza la mamma, ci guardiamo smarriti privi di certezze in una città che, di colpo, sembra grandissima e ostile.

L’unica cosa che resta da fare è mettere mano al taccuino e annotarvi un po’ di impressioni, a mo’ di diario e a futura memoria per quei commentatori di casa nostra che ancora sono convinti della bontà del modello tedesco, mentre la cosa più interessante da raccontare adesso è come questo modello se ne stia andando a rotoli e si stia, in qualche modo, italianizzando. Certo c’è da stupirsi di fronte alla capacità dei berlinesi di prenderla alla leggera, loro sì più italiani degli italiani. Noi, in verità, saremmo collassati, tra polemiche, contrapposizioni, reazioni più o meno violente e più o meno giustificate. Sei giorni di semi-paralisi, altri ancora incerti e il rischio del blocco totale: da non crederci. Ci saremmo appellati ai sacrosanti diritti dei consumatori (e chissà perché qui a nessuno sia venuto in mente) o avremmo chiesto la soppressione immediata dei sindacati, tanto più che la contemporanea campagna elettorale avrebbe trovato orecchie attente. Ai berlinesi, invece, è sembrata una divertente prova di sopravvivenza. Che peraltro li ha ancor più convinti di quel che loro sanno bene e che noi facciamo finta di non vedere: in Germania ormai non c’è più nulla da fare se non prepararsi al peggio.

E il peggio sono le stazioni della metropolitana di superficie piene come un uovo, con i viaggiatori pigiati come ai tempi della guerra, disciplinati e rassegnati, ad attendere i pochi treni ancora in funzione. O il traffico cittadino finalmente intasato come una qualsiasi capitale occidentale, i lungofiume trasformati in lungotevere (qui scorre la Sprea) zeppi di auto e monossido di carbonio, fiumane di persone in cammino a piedi verso il luogo di lavoro come dopo un cataclisma qualsiasi. O, i più fortunati, in bici lungo le numerose piste ciclabili, una volta tanto affollate come la Roma-Ostia nei fine settimana di agosto. Questo nella prima settimana. Perché da ieri l’umore sembra essere cambiato. Sono tutti un po’ meno rilassati e un po’ più nervosi. E allora è arrivata la nostra rivincita, quella degli italiani. Noi davvero abituati ad avere a che fare con disagi a lungo termine, cioè eterni. E se ai nostri amici tedeschi quella sorta di euforia da novità è venuta meno, a noi è sopravvenuta una certa rilassatezza da familiarità. Aria di caos, aria di casa. E, passato lo choc, abbiamo cominciato a prenderla con filosofia. Abbiamo anche una nuova bici di un bel nero scintillante. Pedalare gente, pedalare. La vita è bella.

 

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