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[27 giu 08]

La commedia sexy all'italiana

A cavallo tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, il cinema italiano ha prodotto una quantita smisurata di film eroticomici, inaugurando la stagione lunga e fortunata della commedia “del buco della serratura”. Stiamo parlando, ovviamente, del filone che da Banfi in poi, passando per Renzo Montagnani e Alvaro Vitali, ha fatto urlare la critica al sacrilegio, alla decadenza artistica e morale della nostra arte cinematografica. In effetti, a essere sinceri, le commedie erotiche dell’epoca non erano certo dei capolavori. La trama, ad esempio, era quasi sempre uguale: un uomo brutto, magari calvo e grassoccio, è preside di una scuola, colonnello dell’esercito, medico o cose del genere. Il tipico piccolo borghese frustrato, insomma, sposato con una donna corpulenta e petulante. A un certo punto fa il suo ingresso il personaggio chiave: la bella di turno. Che si trattasse di Gloria Guida, Barbara Bouchet, Anna Maria Rizzoli, Nadia Cassini o della regina del genere Edwige Fenech, poco importa. Quello che conta, almeno per lo sviluppo della traballante trama, è la serie di avventure erotiche e goffe che questo ingresso innesca. Ovviamente, quasi sempre l’uomo di mezza età andava in bianco, a vantaggio di aitanti giovanotti, spesso studenti di liceo o al massimo militari di leva, che riuscivano a conquistare (certo non con metodi romantici) la bellona di turno.

Immancabile era la scena della doccia, che ha reso celebre soprattutto l’oggi compassata madame Fenech, allora vera e propria icona erotica di un’intera generazione. La conturbante doccia era spesso inquadrata da un buco di una serratura, a rimarcare l’alto contenuto voyeuristico di quei film. E possiamo dire senza paura di essere smentiti che migliaia di giovani italiani hanno ricevuto la prima infarinatura di educazione sessuale grazie alla perizia con la quale le attrici curavano la loro igiene personale,. Trent’anni fa, in effetti, l’Italia era un Paese ancora percorso da pressanti istinti bigotti. Era l’epoca della gioventù ribelle, è vero, ma milioni di ragazzi, che magari vivevano in un paesino della Bassa o nella Sicilia più profonda, di sesso ne sapevano poco o niente. Ed ecco, allora, che il Lino Banfi eternamente “arrapeto” diventava una sorta di Virgilio, una guida nazionalpopolare nel girone di una lussuria ancora tabù.

Lo stesso Banfi, che oggi ci sorride bonariamente nei panni di nonno Libero, non ha mai rinnegato quella lunga e fortunata parentesi della sua carriera. E in effetti non potrebbe, se è vero che gran parte della sua attuale notorietà deriva proprio da quei film, da quelle pruriginose commediole di serie B. Ma trent’anni dopo, persino la critica ha rivalutato il genere eroticomico, allora così bistrattato e snobbato. Nell’epoca dell’impegno e del “personale è politico”, era inconcepibile questo abbandono al piacere fisico, al disimpegno totale, alla decadenza degli ideali. E non è un caso che Lino Banfi abbia convissuto per anni con l’etichetta di “fascista”, scomparsa solo quando si è ripresentato come nonno Libero, ferroviere in pensione, ex sindacalista, lettore dell’Unità. Oggi, dicevamo, il clima è diverso. I critici di casa nostra hanno rivalutato il genere, forse influenzati dall’outing di Quentin Tarantino. Il regista americano ha più volte dichiarato di amare i cosiddetti “B-movie” all’italiana, incontrando ed esaltando due icone dell’epoca come Barbara Bouchet ed Edwige Fenech. Ripetiamo: la qualità non c’era. Ma proprio perché stavamo nell’epoca del cinema impegnato e noioso, quei film rappresentavano lo stato d’animo di chi non ne poteva più di picchetti e manifestazioni, di guerriglia urbana e terrorismo. L’Italia aveva voglia di evasione, di disimpegno, di sesso a buon mercato, di ritornare al personale, che doveva essere privato, appunto, e non politico.

Che poi Edwige Fenech oggi sia diventata una stimata produttrice e Lino Banfi un modello per la tipica famigliola italiana poco conta. I tempi cambiano e gli stili di vita pure. L’importante, tuttavia, è che quel cinema ci sia stato, con tutte le sue volgarità, i suoi bassi istinti, il suo voyeurismo esasperato. Era il grido di una grande fetta d’Italia. Ovviamente, allora nessuno lo ascoltò e tantomeno lo capì. Ma il tempo, si sa, è galantuomo. Anche al cinema.

 

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