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LE CITTA' D'ACQUA RICONQUISTANO IL MARE
Al forum della PA Ravenna, Brindisi, Civitavecchia, Venezia e Trieste illustrano i progetti di riqualificazione delle aree portuali. Le nuove "Piazze d'acqua".
di STEFANO CALICIURI

[16 mag 08] Nell’ambito del forum della Pubblica Amministrazione, conclusosi ieri alla Fiera di Roma, il ministro Renato Brunetta ha premiato il comune di Ravenna per il miglior progetto di riqualificazione portuale. In particolare per la ridefinizione delle 6 miglia nautiche, circa dodici chilometri lineari, che dall’avamporto entrano sino alla darsena, corrispondente al centro storico. Riqualificare il tratto di mare che entra sino al cuore della città significa ridisegnare totalmente gli insediamenti antropici, attualizzandoli e riconsegnando al fronte marittimo la centralità andata perduta nel corso dei decenni. Il recupero ravennate, in particolare, era reso difficoltoso soprattutto per l’inesistenza di zone demaniali: lungo le sei miglia si alternano quarantaquattro proprietà private, corrispondenti a circa 150 ettari. L’amministrazione comunale ha ridisegnato il canale partendo dal vertice marino: porticciolo per barche da diporto e piccole navi da crociera. Via via si susseguono botteghe e aziende artigiane, sino a giungere alla darsena. Una nuova piazza d’acqua che si va a connettere direttamente con la piazza urbana avendo quindi la possibilità di riscoprire il fascino degli antichi commerci che dal mare si insinuavano sino alla terraferma.

Ma Ravenna non è l’unica “eccellenza” in materia di riscoperta del rapporto uomo-acqua, terra-mare. Nel corso del forum, sono state invitate a parlare della loro esperienza altre quattro città che negli ultimi anni hanno recuperato il loro rapporto con il mare e ridisegnato una nuova idea di porto. Venezia, Brindisi, Civitavecchia, Trieste, ognuna con la propria peculiarità, negli ultimi anni hanno avuto il merito e la capacità di trasformare una zona in disuso, un’area morta, in una sorgente di vita e di risorse, sia turistiche che commerciali. Trieste, antico porto della Piccola Europa, è andata via via  a perdere d’importanza e di strategicità territoriale. Ecco che allora si è reso necessario da parte dell’amministrazione comunale la rapida riconversione dei capannoni ottocenteschi. Oggi sono opportunità d’insediamento per tutti gli artigiani e commercianti che vogliono utilizzare il mare come risorsa primaria.

Civitavecchia, dal canto suo, ha invece il problema opposto. Il Porto di Roma è attracco di numerose grandi navi da crociera, essendo un gate strategico per l'accesso alle più importanti zone turistiche italiane ed alle grandi rotte mediterranee. Se ne contano anche diciassette al giorno, tutte contemporaneamente attraccate con i motori accesi per evidenti necessità energetiche. Il prezzo da pagare a livello di inquinamento è altissimo. Gli sforzi dell’autorità portuale e dell’amministrazione per opere di potenziamento delle banchine e delle strutture di accoglienza dei passeggeri hanno permesso di apportare e sopportare uno straordinario incremento degli approdi delle navi da crociera, passando dalle 50 navi del 1996 alle oltre 600 unità del 2006. Con unmilioneseicentomila passeggeri crocieristi nel 2006, Civitavecchia punta a rafforzare il traffico turistico con l'obiettivo di diventare il più importante snodo marittimo mediterraneo. In questo senso è anche da intendersi la realizzazione del nuovo terminal per i collegamenti con i grandi porti europei: Barcellona, Tolone, Tunisi, Sardegna, Sicilia e Malta.

Venezia è unica nel suo genere, non ha un solo waterfront, ma essa stessa rappresenta un unico grande fronte d’acqua. La difficoltà della progettazione e della realizzazione di insediamenti urbanistici deve tenere conto della contemporanea presenza di più soggetti istituzionali coinvolti nella compravendita dei terreni, nel riutilizzo degli spazi e nella progettazione degli interventi. E come se non bastasse, il flusso turistico che giunge al porto è passando da 700 mila unità a un milione e mezzo in dieci anni. Il turista non considera Venezia un punto di partenza, come invece succede per gli altri porti, ma un punto di arrivo e permanenza. Da Venezia non si parte ma si arriva e ci si sofferma. L’amministrazione comunale ha quindi avuto il merito di far interagire varie entità aziendali e istituzionali in grado di raccordarsi e tessere una rete di collegamenti (acqua, binari, cielo) capaci di sopportare flussi enormi e costanti.

Brindisi rappresenta un caso unico. Il rapporto da ricostruire non era quello tra l’acqua e la terra, ma tra l’uomo e il mare. Quasi a rappresentare un nemico da cui fuggire, le infrastrutture nel corso dei decenni hanno abbandonato il litorale per insediarsi nell’entroterra. Questo, nonostante la straordinaria morfologia del territorio, in cui il mare non lambisce ma penetra nella città, disegnando due bracci naturali che accarezzano il centro storico da ambo i lati. La prima vera sfida di Brindisi è quindi di riavvicinarsi e riappropriarsi del cosiddetto waterfront. Negli anni il fronte urbano sul mare si è andato sempre più riducendo, stretto tra il varco doganale del seno di Levante da un lato e le installazioni militari che a partire dal 1908, con la trasformazione del castello svevoangioino da colonia penale in caserma della Marina militare, hanno occupato tutte le aree del settore meridionale del seno di Ponente.

In totale, su 7.450 metri di fronte marittimo sul porto interno, 4.310 metri sono occupati da installazioni militari o recintati da varchi doganali o altre recinzioni, vale a dire che quasi il 60 per cento del lungomare è vietato all'uso civico. La riappropriazione di questi spazi avverrà ricucendo il rapporto con la città attraverso un "fronte marittimo cittadino" che prosegue quello esistente dando ordine al rapporto con il mare. In primo luogo, pertanto, vi è la necessità di una riforma urbanistica nell'area portuale attraverso l'introduzione di spazi liberi civici ed attività convenzionali (residenze, commercio, servizi) e la creazione di un circuito viario unico, liberando il tessuto urbano dalle funzioni obsolete o non compatibili con lo sviluppo della città. L’ottimizzazione della rete ferroviaria costituisce lo snodo cruciale su cui basare i collegamenti interni. Il secondo livello di trasformazione riguarda la crescita armonica della città, cioè pensare a edificare in maniera razionale, non sulla base della speculazione ma della semplice necessità.

“Il porto di Brindisi – ha spiegato nel suo intervento il sindaco Domenico Mennitti – negli anni ’60 era considerato altamente strategico per le rotte con l’Oriente. I turisti venivano in città, salivano sulla nave e al mattino arrivavano in Grecia. Viaggiavano, cioè, tutta la notte. Poi sono arrivate le navi veloci, i potenziamenti dei porti di Ancona e Bari. Il risultato è stato che loro si sono evoluti, hanno moltiplicato turisti e traghetti, noi siamo rimasti con il collegamento notturno. Bisogna invertire la tendenza e per farlo ci vuole un piano puntuale per stabilire le linee d’indirizzo. In pratica dobbiamo essere capaci di rivoltare l’immagine che gli stessi cittadini hanno della loro città, traendo vantaggio dai nostri punti di forza: infrastrutture e polo energetico. La città, insomma, deve poter partecipare alla sua trasformazione attraverso una maggiore consapevolezza dei processi in atto. Il porto, così come riconfigurato in base al progetto Waterfront, deve riportare la città alle relazioni, rendendo i suoi luoghi sensibili alle opportunità d’investimento e funzionali alla destinazione turistica”.


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