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intercettazioni: a chi giova spiare al telefono?
Berlusconi annuncia la prima riforma controversa del suo governo. Pd, Anm, stampa e Lega frenano. Ma forse bisogna colpire le fonti interne alle procure.
di STEFANO CALICIURI

[09 giu 08]
L’idillio è finito. Finalmente il governo è tornato a proporre argomenti di riforma suscitando una qualche reazione da parte della minoranza parlamentare, riscopertasi opposizione. E lo fa su una questione che da anni ormai divide politica e magistratura, giornalisti e “poteri forti”: le intercettazioni. Sabato scorso, in occasione dell’annuale convegno dei giovani industriali a Santa Margherita Ligure, Silvio Berlusconi aveva annunciato di voler portare in Consiglio dei ministri il provvedimento con cui si sarebbe limitato l’uso e la pubblicazione dei colloqui telefonici, salvo per le investigazioni sui reati di terrorismo e mafia: condanna a cinque anni per chi non osserva il divieto. Un “giro di vite” che i magistrati e le associazioni della stampa hanno duramente condannato. L’associazione nazionale dei cronisti ha definito il provvedimento “una minaccia verso chi esercita il proprio lavoro, dando notizie e informazioni di interesse pubblico”.

Anche l’Anm, attraverso le parole del presidente Luca Palamara, ha espresso perplessità: “Lo strumento delle intercettazioni è fondamentale per le investigazioni non solo sui reati più gravi, ma anche per quelli comuni come le estorsioni. Una selezione drastica rischia di restringere la possibilità di indagare”. Voci contrarie anche dal fronte Democratico, attraverso le parole di Lanfranco Tenaglia: “Con questo provvedimento non si fa altro che garantire impunità e intralciare il lavoro delle forze dell’ordine, che rischieranno addirittura di essere loro stesse incriminate, arrivando al paradosso di mettere in carcere il controllore al posto del controllato”. Gli fa eco Walter Veltroni: “Con i limiti che il governo dice di voler mettere sull’uso delle intercettazioni - dice il leader del Pd - decine di indagini non sarebbero state possibili, tanti crimini non avrebbero trovato il loro colpevole, per i reati di corruzione o concussione, per quelli finanziari e persino per quelli legati alla criminalità organizzata che - come ci dice l’esperienza - spesso sono intrecciati a questi”.

Angelino Alfano, ministro della Giustizia, difende il provvedimento voluto da Berlusconi: “Nessuno vuole comprimere le indagini, o togliere ai magistrati il potere di indagare. Vogliamo razionalizzare il sistema e contenere le spese, vi è una invasività nella vita dei cittadini, a causa delle intercettazioni, giunta a livelli intollerabili”. Un discorso che, in effetti, non fa una piega. Il problema, piuttosto, è capire se davvero il cittadino comune si sente minacciato dalle intercettazioni oppure se vorrebbe continuare a cibarsene; se voglia essere tutelato oppure se, consapevole di non essere oggetto di pubblico interesse, voglia invece nutrire la propria curiosità e farsi “gli affari altrui”? Anche in questo caso la decisione di Silvio Berlusconi potrebbe rientrare in quelle che lui stesso, in campagna elettorale, definì “scelte impopolari”. La maggioranza di governo è concorde nel condannare la pubblicazione di intercettazioni limitatamente ai reati legati a terrorismo e mafia. Solo la Lega Nord starebbe pensando di proporre un’estensione delle intercettazione anche sui reati di concussione e corruzione. Roberto Castelli ha spiegato che “in questo momento escludere dal provvedimento i reati tipici della mala-politica non sarebbe compreso dai nostri elettori”.

Il provvedimento anti-intercettazioni vorrebbe quindi salvare la privacy e la dignità delle persone: consegnare in pasto alla stampa i dialoghi privati può diventare molto pericolo, se non addirittura rovinare una carriera o una relazione personale. La domanda, di “lubraniana” memoria, sorge spontanea: ma siamo sicuri che sino ad oggi nessuno ha mai diffuso dialoghi privati con il solo intento di gettare fango, ben consapevole che non contenessero nulla di penalmente rilevante? Senza andare troppo per il sottile, che reato si può trovare nelle confidenze sentimentali di una soubrette oppure nei gusti sessuali di uno sportivo? Nulla, se non il gusto della conoscenza di particolari privati altrimenti sconosciuti. E allora, forse il problema non è da ricercarsi nella pubblicazione dei testi intercettati. Il problema, semmai, è come impedirne la diffusione. Il mestiere del giornalista è pubblicare le notizie, siano esse più o meno valide dal punto di vista penale, perché non è questo il metro di giudizio del cronista. Se per la magistratura non è rilevante che un uomo abbia tradito la moglie, la stessa cosa non si può dire per la stampa. Un personaggio pubblico, essendo tale, deve essere anche consapevole che la sua vita è oggetto di interesse mediatico, sia esso politico, sportivo, attore o cantante. Quello che interessa la magistratura è altro rispetto a quanto invece interessa al pubblico.

La prima dovrebbe essere mossa da elementi di carattere penale, notizie di reato conosciute prima di disporre le intercettazioni e non dopo. Ovvero: le telefonate dovrebbero servire a dar conferma all’inchiesta, strutturate già su basi solide. Non è quindi accettabile, ed è questo il senso del provvedimento di Berlusconi, che i magistrati dispongano le “spiate” a priori, sperando poi di incappare in qualche frase di dubbio senso e dare così il via alla procedura d’inchiesta. Se ristrettezze devono esserci, queste dovrebbero colpire gli ambienti dei Tribunali, scoprendo davvero chi si rende responsabile di diffondere le sbobinature delle telefonate, magari dietro compenso (sia esso in denaro o, magari, in biglietti dello stadio): non si può, insomma, pensare di tenere il secchio asciutto senza chiudere il rubinetto. E il rubinetto, checché ne dica l’associazione nazionale dei magistrati, attinge direttamente dalla sorgente giudiziaria.


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