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LA SANITA' ITALIANA HA BISOGNO DI UN MANAGER
Niente incentivi per i medici più bravi, mercato bloccato, poca concorrenza: è il nostro sistema sanitario , alla perenne ricerca di una riforma liberale.
di MARCO PAOLEMILI

[05 giu 08]
Hanno protestato i sindacati dei medici per la decisione di Silvio Berlusconi di accorpare i ministeri di Salute, Lavoro e Politiche sociali sotto la guida di un solo ministro, Maurizio Sacconi. Manca una specificità, secondo i rappresentanti dei medici, e un impegno preciso riguardo l’amministrazione della sanità italiana anche alla luce della poca chiarezza sui mandati dei sottosegretari Viespoli, Fazio, Martini e Roccella. Sul tavolo i sindacati pongono il contratto dei medici della sanità pubblica, scaduto più di due anni fa, ma sono tanti i nodi irrisolti che questo Governo dovrà affrontare. Sebbene negli anni il concetto di “azienda sanitaria” sia sempre stato più enfatizzato, le Asl e gli ospedali italiani hanno solo sulla carta un assetto aziendale, rivelando bilanci, dinamiche interne e servizi offerti ben lontani dallo standard di una efficiente azienda privata. La sanità italiana dovrebbe veramente essere gestita in modo aziendale, ma alla teoria si contrappone la realtà: nomine di dirigenti secondo dettami politici e soprattutto una sanità senza mercato, senza competizione tra pubblico e privato o tra privati. Un regime di monopolio, insomma, nel quale tutto o quasi il mercato della salute passa attraverso lo Stato e le Regioni. Il Sistema sanitario nazionale prevede un’offerta al pubblico mista, costituita da ospedali e servizi ambulatoriali pubblici e da cliniche e ambulatori privati, che operano in convenzione con il Sistema sanitario nazionale. Ogni prestazione erogata dai privati convenzionati è rimborsata dalla Regione di appartenenza. Fuori dal circuito ci sono alcuni studi privati, qualche ambulatorio e qualche clinica, assolutamente e inevitabilmente fuori dalla competizione perché impossibilitati ad offrire prezzi concorrenziali.

Gli ex ministri della Sanità Rosy Bindi e Livia Turco diedero vita e poi perfezionarono l’attività libero professionale dei medici in regime di intramoenia. Con questo termine s’intende l’attività privata svolta da medici assunti a tempo pieno nell’ente pubblico e realizzata nello stesso luogo di lavoro, oppure in strutture private come studi medici e cliniche. L’obiettivo dell’intervento era quello di premiare i camici bianchi che prestano la loro attività in ospedale, meno retribuiti in genere dei loro colleghi libero-professionisti al di fuori delle strutture pubbliche. Questo regime, secondo il ministero, avrebbe dovuto portare a una riduzione delle liste di attesa delle visite specialistiche. In effetti, chiedendo una visita in regime di intramoenia, è possibile, secondo le disponibilità del medico, essere ricevuti in una settimana, massimo due, e nel caso di piccole città anche nell’arco di quarantotto ore. Tutto questo però ad un prezzo maggiorato, che raggiunge facilmente gli 80-100 euro. Facile capire perché quelle liste di attesa siano così ridotte. Secondo i dati diffusi pochi giorni fa dal Tribunale per i diritti del malato, i tempi di attesa negli anni non sono si sono per nulla ridotti, ma al contrario sono in aumento: si aspetta di più per un esame diagnostico, poco meno per una visita medica e meno per un intervento chirurgico. Un “meno” relativo se pensiamo che per una visita oculistica si arrivano ad aspettare fino a 630 giorni. L’ultimo ddl del ministro Livia Turco dell’agosto scorso per la regolamentazione dell’attività libero professionale dei medici in regime di intramoenia e per combattere il fenomeno delle liste d’attesa, sembra esser stato, ad oggi, del tutto inefficiente.

Ma cosa succede nel dettaglio? Perché questo regime elimina qualsiasi concorrenza tra pubblico e privato? L’esempio più lampante è quello degli interventi chirurgici nelle cliniche private. Molti chirurghi, soprattutto primari di reparti, svolgono la maggior parte dei loro interventi in cliniche private, in regime di intramoenia. Questo fa sì che medici sotto contratto pubblico, operino in privato. Il regime di intramoenia è conveniente per l’ospedale, perché il medico deve versare una quota all’azienda per ogni visita effettuata, anche se questa non si è svolta in strutture di proprietà dell’azienda e ogni attività di gestione è stata svolta autonomamente dal medico. I medici che non aderiscono a tale organizzazione, e operano in extramoenia (cioè svolgono attività privata non in accordo con l’ospedale per cui lavorano), sono autorizzati a farlo, ma con una riduzione dello stipendio mensile. Così medici e chirurghi svolgono molte attività in strutture private, che si trovano ad avere lo stesso personale di un ospedale pubblico. Non esiste quindi nessun tentativo di accaparrarsi il medico più bravo per offrire delle cure migliori, perché questo può tranquillamente operare in più strutture contemporaneamente.

Tutto insomma avviene in modo esattamente contrario a quello che accade in un’azienda vera: non esistono incentivi per i medici più bravi, anzi l’incentivo è fornito indirettamente (cioè non sono penalizzati) ai medici che optano per perpetrare le differenze tra chi sceglie di pagare di più e si fa visitare prima e chi non può permettersi cure costose e si mette in fila per mesi. Il mercato è bloccato, non esiste concorrenza tra strutture: gli ospedali pubblici più efficienti non godono di alcun premio, il privato è costretto ad accordarsi con il pubblico e soprattutto non può operare al di fuori del regime convenzionato ed è quindi costretto a dipendere sempre dal denaro delle Regioni. In un mercato senza offerte differenziate, l’attenzione alla qualità della prestazione non trova posto, perché è un fattore inutile, assolutamente ininfluente nell’attribuzione delle risorse e nella determinazione dei ricavi di una struttura. Ecco perché un ministro della Salute era necessario e perché l’unica persona adatta a ricoprire oggi quel ruolo sarebbe stata un manager vero, qualcuno in grado di portare mercato, competizione e produttività come principi per una sanità moderna. Non è solo questo, però, l’ambito in cui un manager d’azienda potrebbe fare la differenza per la sanità italiana. Siamo soltanto all’inizio: il sentiero che porta all’efficienza è lastricato di problemi che aspettano da anni di essere affrontati e risolti.


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