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L'ASSE DEL MALE TEME MCCAIN ALLA CASA BIANCA
Da sempre impegnato nella diffusione della democrazia all'estero, John McCain è considerato il peggiore dei mali possibili a Teheran, Damasco e dintorni.
di sTEFANO mAGNI

[25 feb 08] La televisione iraniana, la settimana scorsa, ha trasmesso uno spot a cartoni animati in cui si “svela” la cupola di un complotto per sottomettere il mondo intero al capitalismo e (ovviamente) al sionismo. Per pubblicizzare un nuovo numero di servizio, gestito dagli operatori telefonici del ministero dell’Intelligence, a cui rivolgersi per “segnalare attività sospette”, lo spot di sette minuti mostra John McCain e George Soros che complottano nell’ombra. “Come dice giustamente George Soros, il nostro obiettivo può essere raggiunto con una pianificazione di lungo periodo, che può essere adattata alla cultura di ogni regione”. - fanno dire al perfido cospiratore McCain - “Noi provvederemo a guidare i gruppi più influenti di ciascuna area”. L’anziano senatore, ritratto nel piccolo cartone di propaganda, sarà quasi certamente il prossimo candidato repubblicano alla Casa Bianca, dopo che, nelle elezioni primarie, ha battuto tutti gli altri candidati forti e distanziato il conservatore Mike Huckabee. Il regime di Teheran lo teme più di ogni altro personaggio politico statunitense e sta mettendo le mani avanti, diffondendo disinformazione sul suo conto prima ancora che inizi la sua campagna elettorale presidenziale. Teheran sa che con McCain non si scherza, perché l’anziano senatore dell’Arizona ha sempre fatto dell’esportazione della democrazia la sua principale battaglia in politica estera. Su questo punto è sempre stato coerente. “Il Nobel per la pace dovrebbe essere assegnato ai monaci della Birmania e non ad Al Gore”, aveva tuonato il candidato al momento dell’assegnazione dei prestigiosi premi.

La sua non era solo una boutade elettorale: si era appena impegnato a promuovere un embargo multilaterale sugli armamenti ai danni della giunta militare birmana con un provvedimento bipartisan promosso anche dal rappresentante democratico Tom Lantos. E anche per questo, McCain ha guadagnato il sostegno pubblico dell’attore Sylvester Stallone impegnato, nella veste del mitico Rambo, contro il sadismo dei militari birmani. In Florida, la vittoria di McCain, in una tornata elettorale che ha determinato l’uscita di scena del candidato favorito (fino a quel momento) Rudy Giuliani, era dovuta anche al sostegno della diaspora cubana. Gli esuli anti-castristi vedono nel senatore dell’Arizona un candidato affidabile, un presidente che farebbe di tutto per riportare la democrazia nell’isola caraibica. Quanto all’Asia orientale, quando Yahoo e Google avevano accettato la censura cinese, il senatore dell’Arizona si era detto “imbarazzato” per questa scelta, ma aveva dato la colpa soprattutto alla natura del regime di Pechino: “Hanno un governo che è e resta fondato sulla repressione. Selezionano i loro leader in segreto e violano i diritti umani. Non dobbiamo premere solo su Yahoo perché non ripeta atti di questo tipo [collaborare con Pechino, ndr], ma dobbiamo spingere per avere più garanzie dei diritti umani, più democrazia, più progressi nella stessa Cina”.

McCain è un sostenitore della globalizzazione ed è l’unico candidato nelle primarie che si è opposto ad ogni forma di protezionismo, a costo di alienarsi le simpatie di industriali e operai in difficoltà. Ma queste idee non lo rendono più morbido nei confronti della partecipazione della Russia alle istituzioni economiche internazionali: in occasione dell’ultimo summit dei maggiori Paesi industrializzati, ha dichiarato che la stessa presenza della Russia al G8 è “un’offesa ai principi fondamentali sui quali è stato organizzato il gruppo”. Il pubblico italiano lo può ricordare quando si è parlato di lui in una puntata della trasmissione “Report” dedicata all’esportazione della democrazia: al telefono con il ministro degli esteri del Kyrgyzistan, il senatore McCain riusciva, ventilando pressioni economiche, a far riaprire l’unica tipografia indipendente del Paese in grado di stampare materiale dell’opposizione. Dieci giorni più tardi scoppiò la rivoluzione “gialla” e il dittatore del paese dell’Asia Centrale, Akaev, dovette fuggire dopo quindici anni di dominio incontrastato. Il senatore dell’Arizona è un vero esperto nel settore. Presiede il “board of directors” dell’International Republican Institute (Iri), un ente pubblico che, per suo statuto, “aiuta a diffondere la democrazia all’estero, tramite l’addestramento di volontari esperti, provenienti da tutto il mondo, allo sviluppo di partiti politici e candidature, alle pratiche del buon governo, allo sviluppo della società civile, alle riforme elettorali e al monitoraggio delle elezioni, alla comunicazione politica nelle società chiuse”. L’Iri è nato sull’onda della dottrina Reagan, la prima strategia coerente di esportazione della democrazia, enunciata nel famoso discorso tenuto a Londra da Ronald Reagan nel 1982.  

Inizialmente l’Iri operava solo in Portogallo (che allora era uscito da pochi anni dalla dittatura militare) e in alcuni paesi dell’America Latina, il fronte principale in cui Usa e Urss si contendevano “i cuori e le menti” dei cittadini locali. Fu un successo: alla fine della Guerra Fredda, il Nicaragua tornò democratico, il Salvador si salvò da una possibile dittatura comunista, la Bolivia, il Guatemala e Grenada rafforzarono le loro istituzioni. Dalla caduta del blocco comunista ad oggi, l’Iri ha esteso il suo raggio d’azione ad altri 70 paesi in tutto il mondo. La legge che maggiormente riflette questa strategia è stata proposta da McCain, sempre in tandem con Tom Lantos: è l’Advance Democracy Act del 2005, che prevede l’istituzione di organismi fissi per lo studio e la promozione degli ideali democratici in tutto il mondo, sia presso il Dipartimento di Stato che nelle singole rappresentanze diplomatiche americane nei paesi repressi. Il regime di Teheran, dunque, ha tutte le ragioni per temere un’ascesa di McCain alla presidenza. I governi democratici europei sarebbero costretti, in compenso, a prendere delle decisioni drastiche: con un presidente statunitense “crociato”, potrebbe finire del tutto l’era dell’appeasement. Anche Vladimir Putin dovrebbe dormire sonni poco tranquilli con un simile inquilino alla Casa Bianca: se dovesse aprirsi una crisi sull’Ucraina (contro cui Mosca minaccia di puntare i missili, in caso di un suo ingresso nella Nato), McCain saprebbe da che parte schierarsi. L’influenza della Russia sulle repubbliche ex sovietiche verrebbe seriamente contrastata. Mentre i governi autoritari e totalitari temono la sua elezione, i dissidenti (che lo conoscono) ci sperano.



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