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UN'INDIPENDENZA FIGLIA DI MILOSEVIC
Al di là della valenza simbolica, il gesto di Pristina apre la porta a scenari che avranno conseguenze significative sullo scacchiere internazionale.
di RODOLFO BASTIANELLI

[19 feb 08] L’ultimo atto della crisi che dall’inizio degli anni Novanta aveva sconvolto la Jugoslavia si è consumato ieri con la proclamazione dell’indipendenza da parte del Kosovo. Da tempo appariva evidente che la regione a maggioranza albanese, amministrata provvisoriamente dalle Nazioni Unite dopo il conflitto del 1999, avrebbe rotto anche gli ultimi legami formali con Belgrado per dichiarare la sua piena sovranità. Ma aldilà della valenza simbolica che questo rappresenta, il gesto con cui il Parlamento di Pristina ha sancito l’indipendenza kosovara non solo pone una serie di rilevanti considerazioni politiche ma apre la porta ad alcuni scenari i cui effetti avranno delle conseguenze significative per le relazioni tra Mosca e l’Occidente. La prima osservazione da farsi nel caso del Kosovo è che la Serbia non ha perso la regione domenica ma nel momento in cui Milosevic ha avviato la sua politica nazionalista. Se il leader serbo avesse accettato il piano preparato a Rambouillet con cui si attribuiva alla regione una larga autonomia all’interno della Serbia, quasi certamente l’intervento militare della Nato non sarebbe stato necessario ed i rapporti interetnici tra le varie comunità avrebbero potuto essere col tempo ricostruiti. Le ultime prospettive di riedificare un Kosovo multietnico all’interno della Serbia sono quindi sfumate con il conflitto del 1999, che ha sancito come gli albanesi non fossero ormai più disposti a prendere in esame qualsiasi altra ipotesi al di fuori della piena indipendenza.

La seconda questione che si pone riguarda, invece, gli effetti di un Kosovo sovrano sulla scena interna serba. A Belgrado, anche se gran parte della classe politica ha già da tempo dato per persa la regione, nessuno però è disposto ad accettare apertamente questa ipotesi, come dimostra il voto pressoché unanime del Parlamento serbo alla risoluzione con cui si riaffermava l’appartenenza del Kosovo alla Serbia. Ecco perché le vicende kosovare potrebbero ripercuotersi sull’esecutivo guidato da Vojislav Kostunica e sull’opinione pubblica locale. Infatti, anche se i cittadini serbi non sembrano intenzionati a lasciarsi trascinare in un’altro conflitto per la regione, gran parte della popolazione non è disposta comunque ad accettare di vedere umiliato il Paese e ridurre la Serbia a dimensioni territoriali sempre più limitate. Sul piano politico non è escluso poi che questo possa portare ad una crisi di governo con l’uscita del partito di Kostunica dalla coalizione e ad un parallelo rafforzamento delle formazioni più radicali che da tempo premono per la linea dura e per rimettere in discussione gli equilibri in Bosnia – Erzegovina. Difatti, mentre il premier Kostunica nel giudicare nulla la dichiarazione d’indipendenza kosovara ha fatto ricorso a toni ostili verso gli Stati Uniti e l’Europa, il presidente Tadic, il cui partito è alleato al governo con la formazione del primo ministro, pur condannando la secessione di Pristina, ha comunque ribadito come il dialogo con Washington e le capitali europee non sarebbe stato interrotto.

Il timore della comunità internazionale è però che anche un minimo incidente possa portare ad una violenta reazione da parte serba. Anche se nessuno ha prospettato la possibilità di un intervento armato, alcuni osservatori temono che, di fronte ad un eventuale attacco contro la minoranza serba, la risposta di Belgrado potrebbe essere quella di un ricorso alla forza per proteggere i suoi connazionali. Ben difficilmente comunque il governo di Pristina riuscirà a ricevere il riconoscimento delle Nazioni Unite visto il veto di Mosca che, storica alleata di Belgrado, considera illegittima la dichiarazione d’indipendenza del Kosovo. La gran parte dei commentatori ritiene però alquanto improbabile che la Russia possa spingersi oltre la protesta diplomatica con gli Stati Uniti e l’Occidente per il Kosovo, così come sembra difficile una ritorsione di Mosca sotto forma di blocco delle forniture energetiche all’Ucraina. Più verosimilmente, Putin sfrutterà la crisi kosovara per riaffermare il ruolo russo sulla scena internazionale, anche se, secondo alcuni, non si può escludere che Mosca possa giocare la carta del riconoscimento delle repubbliche secessioniste dell’Abkhasia e dell’Ossezia del Sud per indebolire la Georgia del presidente filo – occidentale Saakashvili, il quale ha comunque dichiarato che non riconoscerà l’indipendenza kosovara proprio per non inasprire i già difficili rapporti con il Cremlino.

E questo ci porta a valutare quali effetti potrà avere l’indipendenza del Kosovo sugli altri movimenti separatisti presenti in Europa. Tra i Paesi europei Spagna, Slovacchia, Romania, Cipro e Grecia hanno da tempo affermato l’intenzione di non riconoscere il Kosovo, temendo proprio che questa possa servire da esempio per le aspirazioni autonomiste dei baschi, dei turco – ciprioti o delle minoranze ungheresi presenti nei loro confini, anche se, va detto, la questione kosovara si presenta come un caso del tutto particolare. Resta un’ultima considerazione, ovvero se l’indipendenza del Kosovo debba essere accettata e riconosciuta. Ed in questo caso la risposta che va data è sì. Nel momento in cui si fa sempre più riferimento ai valori della democrazia e del diritto dei cittadini a scegliere liberamente il loro governo, impedire le aspirazioni autonomiste del popolo kosovaro suonerebbe come ipocrita. Allo stesso modo, va però offerto alla Serbia un canale privilegiato per negoziare la sua adesione alla UE, facendole capire come nessun atto ostile contro i suoi cittadini presenti in Kosovo sarà tollerato ma anche che i problemi non si risolvono con gli accenti estremistici ed i toni nazionalisti.



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