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IL DADO E' TRATTO, PROVIAMO A COSTURIE
Con l'appuntamento di aprile, il dibattito pubblico ha posto al centro politiche rilevanti che possono avviare un percorso di significativo cambiamento.
di DOMENICO MENNITTI

[18 feb 08] La fase che ha portato allo scioglimento delle Camere ed alle elezioni anticipate è stata caratterizzata dal dibattito sulla inutilità di un provvedimento così drastico conservando il sistema elettorale vigente. La sinistra ha sostenuto che si sarebbe riprodotto, magari a parti invertite, il quadro di instabilità che ha reso grama la vita al governo presieduto da Romano Prodi. Di questa tesi sono evidenti gli strascichi polemici: in particolare Veltroni continua a sostenere che sarebbe stato utile concordare un limitato periodo di tregua per mettere mano alla riforma delle regole che governano la elezione della rappresentanza. E’ difficile comprendere quali benefici la sinistra si attenda di raccogliere ribadendo stucchevolmente questa posizione; il rischio è che disperda la concentrazione sui percorsi nuovi e fascinosi che si stanno aprendo, dopo tanto immobilismo. Le regole, ovviamente, influiscono sul livello di efficienza delle istituzioni; però, immaginare che esse da sole possano rendere virtuose fasi tribolate da profonda crisi politica, è una illusione, talvolta un brutto e consapevole imbroglio.

La verità è che negli ultimi tre lustri la politica si è mossa fra furbizie ed incertezze, inseguendo le convenienze ed eludendo la responsabilità di esprimere idee e comportamenti coerenti con la domanda di modernizzazione. Il 1994 si realizzò agevolato dal cambio del sistema elettorale, introdotto con un referendum; però, in assenza di processi di evoluzione della cultura politica, il vento del cambiamento, dopo qualche raffica, ha finito di soffiare e la politica si è di nuovo impigrita, spingendo i cittadini addirittura a rivalutare i riti stanchi del proporzionale. In Italia è sempre forte la tendenza a curare le sconfitte con la nostalgia, dimenticando quanto si è imprecato contro i governi che duravano sei mesi pure quando erano sostenuti da  maggioranze vaste. Ora che il dado è tratto e ci stiamo attrezzando all’appuntamento del 13 aprile, ci rendiamo conto che il dibattito pubblico ha posto al centro scelte politiche rilevanti e che esse possono modificare il corso delle istituzioni, sconfiggere la rassegnazione, avviare un percorso di significativo cambiamento. Quando scadrà il tempo della mediazione per le alleanze e ogni partito presenterà le liste dei candidati, saremo nella condizione di esprimere valutazioni più puntuali sulla portata delle aspettative che nutriamo; però, che si sia messo in moto un processo virtuoso per restituire alla democrazia senso e dignità, non può di certo essere negato.

Berlusconi e Veltroni, ormai nessuno dei due più in età per proporsi come protagonista di un novismo rovinoso, sono diventati portatori credibili di una tesi inattaccabile, quella della improponibilità delle ammucchiate. Questa versione politica della “mucillagine” deritiana  può essere utile a sconfiggere un avversario, ma per demonizzarlo e renderlo inutilizzabile per qualsiasi operazione di confronto, di mediazione, di partecipazione. I paesi civili sanno che l’anima della democrazia è il dissenso, ma sanno pure che nei momenti di grande difficoltà le forze politiche debbono sapersi compattare, per il tempo che serve, intorno alle istituzioni. Che questo principio possa essere recepito in Italia è una ipotesi che oggi non si può aprioristicamente scartare. E che ciò avvenga mentre vige  una pessima legge elettorale non è un miracolo. E’ la politica: spesso torbida e volgare, talvolta nobile e generosa. Quel “talvolta” è lo spiraglio per non disperare.



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