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L'ITALIA CHIUSA IN SE STESSA
Doveva essere uno dei temi portanti, invece l'assenza della politica estera dalla campagna ci rimanda l'immagine di un Paese isolato e perso nella sua crisi.
di PIERLUIGI MENNITTI

[10 apr 08] Poco più di un mese fa, il commissario europeo Franco Frattini, in procinto di lasciare il suo ufficio di Bruxelles per gettarsi nella campagna elettorale italiana, formulava in un’intervista al quotidiano Liberal questo auspicio: “Il Popolo della libertà deve piazzare l’Europa al primo posto, per recuperare credibilità europea, indispensabile per il nostro Paese, ma anche per poter beneficiare della strategia di crescita che rientra nel Patto di Lisbona. Insomma, per essere nella e della partita”. Non facciamo fatica ad immaginare che il candidato Frattini, che nel suo curriculum annovera anche due anni trascorsi alla Farnesina, sia tra i delusi di come il nuovo partito berlusconiano abbia trattato i temi di politica estera nella campagna elettorale che si va concludendo. La delusione, in tutta onestà, si estende anche all’altro campo, quello del Partito democratico. Nelle tante cose dette in queste settimane, fra le tante promesse fatte e recepite con sempre maggior scetticismo dagli elettori, poco o nessuno spazio è stato dato alla politica estera. Alla proiezione che il nostro Paese dà di sé agli altri.

Il dato sconfortante ha una sua parzialissima giustificazione. Il tema di fondo della campagna elettorale è come uscire dalla crisi: politica, economica e sociale. L’Italia viene vista come un grande malato sul quale concentrare gli sforzi di diagnosi e di prognosi: la cura e la guarigione da proporre richiedono un’attenzione esclusiva al paziente, al suo stato interno. Tuttavia anche questo ritorcersi sul proprio ombelico è un segnale del declino, che non a caso viene misurato in rapporto alla crescita di altri Stati, in Europa e nel mondo. E’ nel confronto con lo sviluppo di Paesi mediterranei e concorrenti come Spagna e Grecia, o con l’esplosione delle potenze asiatiche, che il declino italiano assume la sua cifra epocale, un piano inclinato lungo il quale scivoliamo senza trovare rimedio. E’ nell’assenza di riferimenti spaziali, nel silenzio che avvolge le coordinate del nostro posto nel mondo che si misura il dramma di un Paese isolato, perduto nella propria crisi di identità e di crescita.

Non era stato sempre così, negli ultimi anni. L’Italia è impegnata in un numero di missioni all’estero mai così numerose nella sua storia. L’Europa è ormai parte della nostra politica interna ed economica. La ricchezza del nostro Paese deriva in gran parte dal livello delle esportazioni. Il made in Italy rappresenta una delle voci più rilevanti per l’economia, tanto che va riconosciuto al vituperato governo Prodi di aver lavorato intensamente per allacciare sempre nuovi rapporti commerciali all’estero. Sette anni fa un Berlusconi evidentemente in altra forma aveva lanciato l’idea degli ambasciatori-testimonial. Eppure, neppure negli ultimi giorni, sembra che su questi temi i candidati riescano a dirci come intendono comportarsi. Neanche la questione del boicottaggio dei giochi olimpici cinesi (che altrove accende furiose discussioni) li smuove più di tanto. All’inizio della campagna elettorale, l’ex ministro della Difesa Antonio Martino aveva lanciato una proposta provocatoria: ritiriamo le nostre truppe dal Libano e riportiamole in Iraq. Utile o strampalata che fosse, la dichiarazione di Martino aveva avuto il merito di accendere, per un momento, i riflettori del dibattito anche sui temi della politica estera italiana. Subito spenti. Altro spunto: le scelte della Farnesina guidata da Massimo D’Alema avevano rappresentato una vera rottura rispetto ai cinque anni di governo berlusconiano, forse l’unico vero filone su cui il governo Prodi aveva mostrato una netta discontinuità rispetto al centrodestra. Sarebbe stato bello discuterne. Non è stato ritenuto importante.

Temi e motivi per dibattere su come dovremo comportarci le volte in cui metteremo il naso fuori dal giardino di casa ce ne sarebbero stati. Invece, a partire dai programmi in power point (gli unici che elettori volenterosi potrebbero davvero leggere) rintracciabili sui siti dei due partiti principali, silenzio totale, tranne un generico accenno alla difesa in Europa nel made in Italia a pagina 7 degli appunti del partito di centrodestra. Un Pdl che pure è atteso da importanti questioni europee, a partire da quelle che riguarderanno l’ingresso della nuova formazione nel Ppe con il carico degli esponenti provenienti dalla destra di An. Un’occasione utile per parlare d’Europa, di come ci si posizionerà di fronte al rimescolamento delle politiche degli altri Paesi, visto che se Berlusconi tornerà al governo troverà un’Europa più giovane, meno incline alle pacche sulle spalle e completamente diversa da quella che aveva lasciato due anni fa. E’ stata invece un’occasione perduta.


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