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da Ideazione marzo-aprile 2005
"Una lunga battaglia strategica"

intervista a EMMA BONINO di CRISTINA MISSIROLI

[02-2005] Emma Bonino e il Partito Radicale hanno sempre avuto progetti ambiziosi, quasi visionari in materia di organizzazioni sovranazionali. Non a caso, nel novembre 2002, in rappresentanza del governo italiano, proprio la Bonino partecipò a Seul alla seconda conferenza ministeriale della Community of Democracies, un’unione informale di Stati che, sulla base di un documento adottato dal “Convening Group”, si sono dati l’obiettivo di lavorare per la creazione di una Organizzazione Mondiale della Democrazia, al fine di rafforzare le libertà civili e politiche nel mondo. L’idea è che occorre una strategia che dia forza alle democrazie per fronteggiare l’assalto dei fondamentalismi, del terrorismo, del ritorno ai nazionalismi del secolo scorso. Un’idea resa ancor più attuale dalle pessime dimostrazioni che l’Onu ha dato negli ultimi anni, da Srebrenica allo scandalo Oil for food.

Onorevole Bonino, ormai è un dato quasi universalmente accettato che le Nazioni Unite debbano essere urgentemente riformate. Quali crede siano i problemi?
Personalmente non ho mai avuto remore nel denunciare i fallimenti dell’Onu, ma anche nel riconoscerne i successi. Quello che mi importa sottolineare però è che sia i successi sia i fallimenti dipendono in larghissima parte dalla volontà politica degli Stati che ne sono membri. L’Onu non è un’entità a sé stante, dipende dagli Stati che ne fanno parte che ne finanziano le attività. Sono i paesi membri infatti quelli che decidono quando e se attribuirle un mandato, e quale mandato. Se quindi questa organizzazione appare inadeguata e obsoleta – come è – dipende in larga parte dal fatto che è nata cinquant’anni fa e si è poi espansa senza che si sia voluto riformarla per evitare la paralisi politica quando questioni importanti vengono poste sul tappeto. Anzi, ho sempre più spesso l’impressione che questa paralisi sia spesso voluta e in questi casi l’Onu diventa un facile capro espiatorio dietro al quale si nasconde tutt’altro.

Quali sono le riforme che ritiene più adeguate e urgenti?
La riforma dell’Onu di cui tanto si parla dovrebbe quindi essere strutturale, non tanto per renderla più democratica come sento a volte dire, ma semmai più capace di adempiere al proprio mandato, a partire dalla sicurezza e dal rispetto dei diritti umani civili e politici che sono una delle sue ragioni costitutive. Le proposte del Panel di Kofi Annan sulla riforma dell’Onu sono da apprezzare per quanto riguarda l’affermarsi del principio della “responsabilità di proteggere” di ogni Stato, ma altre a mio avviso lo sono meno, come ad esempio l’estensione della membership nella Commissione sui Diritti umani a tutti i 192 paesi, Corea del Nord compresa. Vedremo cosa Kofi Annan sceglierà di proporre come base di riforma, ma non dimentichiamo che qualsiasi riforma deve ottenere il consenso di due terzi dei paesi membri.

Sempre più spesso di discute di creare una nuova organizzazione, la cosiddetta Coalizione delle democrazie. Un argomento al quale lei e il partito radicale siete particolarmente sensibili.
Come radicali abbiamo l’obiettivo di un’Organizzazione mondiale delle e della democrazia. Occorre che accanto a un’Organizzazione mondiale del commercio, che tutela gli interessi commerciali, ci sia anche un’Organizzazione mondiale della democrazia per tutelare i diritti civili e politici dei cittadini. L’Omc riguarda i rapporti commerciali fra Stati, l’Omd dovrebbe invece occuparsi dei diritti civili e politici, a partire da coloro a cui sono negati. Fino a quando gli interventi a tutela dei diritti umani dipenderanno dalle decisioni finali di paesi dittatoriali, e fino a quando i paesi democratici non vorranno dotarsi di strumenti più efficaci e se necessario alternativi, non potremo avere grandi speranze che crimini come quelli in corso in Darfur saranno impediti dalla comunità internazionale. Da queste considerazioni ed altre deriva l’esigenza ragionevole di un’Organizzazione mondiale delle democrazie che per troppo tempo le nostre classi dirigenti hanno ignorato. Da un lato è rarissimo che le democrazie si facciano guerra l’una all’altra e dall’altro è ormai compreso da tutti che i movimenti estremisti e terroristici che oggi minacciano i sistemi democratici e la loro diffusione nel mondo arabo trovano il loro brodo di coltura – e spesso anche il sostegno politico e finanziario – nelle società dominate da autocrati irresponsabili di fronte ai loro cittadini.

Come pensa che dovrebbe essere articolata questa nuova organizzazione e quali funzioni dovrebbe svolgere?
Un primo forum da cui partire e su cui siamo impegnati con partner in tutto il mondo, e anche con il sostegno degli Stati Uniti, è quello della Comunità delle democrazie. è un processo nato al di fuori delle Nazioni Unite che include solo paesi che rispettano quanto meno il principio di elezioni multipartitiche credibili – con qualche eccezione – le cui potenzialità non sono state esplorate a fondo. Vi è a mio avviso un’immotivata diffidenza europea che andrebbe rimossa al più presto, tanto più quando si proclama la necessità di far ricorso alla diplomazia e al soft power, ma poi non ci si investe davvero.

A che punto è la gestazione della Comunità delle democrazie?
La Comunità ha finalmente istituito il “Gruppo dei paesi democratici” all’interno dell’Onu dove, ricordiamolo, per la prima volta nella storia le democrazie sono la maggioranza. Se vi fosse adeguata leadership politica, questo forum potrebbe diventare un formidabile strumento per agire quando le libertà sono negate e le dittature fanno ostruzionismo. Resta la cautela di alcuni paesi democratici del Sud del mondo che storicamente sottolineano l’importanza dei diritti economici come condizione necessaria per quelli politici, ma tra paesi democratici vi sono margini di manovra per far avanzare questa esperienza nella direzione giusta. Certo bisogna crederci. Il governo italiano sembrava aver scelto questa linea due anni fa, ora sembra essersene dimenticato del tutto.

La Coalizione delle democrazie manderebbe in pensione l’Onu oppure no?L’Omd potrebbe partire da un’agenda limitata alla tutela e promozione dei processi democratici e dei diritti umani, che è già molto se ci si pensa. Per quanto riguarda l’Onu dipenderà dalla capacità dei paesi democratici e della loro leadership per riuscire ad attuarne il mandato superando le resistenze che oggettivamente esistono. Credo comunque che sia saggio che i paesi democratici si dotino con urgenza di un’alternativa multilaterale efficace per proteggere e far avanzare i valori democratici che ci uniscono. Se infatti la Commissione sui Diritti Umani è bloccata ogni anno da Cuba, Sudan o Libia, o se la Cina impedisce al Consiglio di Sicurezza di prendere provvedimenti nei confronti del regime sudanese in Darfur, cosa ci dovrebbe impedire di prendere azioni autonome e con il sostegno di decine e decine di altri paesi democratici? Occorre superare questa passiva accettazione della realtà in nome del cosiddetto realismo politico, perché ogni volta che questo accade si gettano le basi per nuove tragedie e sconfitte.


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