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McCain ha un ego smisurato. Parola di comunista
di STEFANO MAGNI

[26 mar 08] Alcuni giorni fa il Washington Post ha realizzato uno scoop notevole, uno degli articoli più significativi di questa campagna elettorale statunitense. Non tanto per le sue conseguenze politiche, quanto per i contenuti: il giornalista Manuel Roig-Franzia ha intervistato il gestore di un piccolo ristorante a L’Avana, uno di quei piccoli e pittoreschi locali autorizzati dallo Stato ad uso e consumo dei turisti. Il gestore in questione, Fernando Barral, è un comunista convinto, ha riempito il suo locale di ricordi rivoluzionari, tra cui una foto autografa di Che Guevara. Ma non è della rivoluzione che si è parlato nel corso dell’intervista, né del futuro di Cuba sotto Raul Castro. Bensì del candidato repubblicano John McCain. Fernando Barral, infatti, è l’uomo che interrogò il prigioniero McCain nel 1970, allora pilota della marina degli Stati Uniti nelle mani dei nordvietnamiti da due anni. Dall’articolo si deduce che l’anziano senatore dell’Arizona è un guerrafondaio, che non ha sensi di colpa per i civili uccisi nel corso dei suoi bombardamenti e soprattutto che ha un ego smisurato. Barral, invece, ne esce come un genuino idealista, figlio di un socialista ucciso nella Spagna di Franco, poi fuggito in Argentina e infine approdato a Cuba dopo un breve periodo di studio nell’Ungheria comunista. Lo psicologo/ristoratore è dunque ritenuto attendibile quando smentisce quel poco che di lui scrive McCain nella sua autobiografia: un finto psicologo spagnolo che, alla fine dell’interrogatorio, definì il prigioniero come uno “psicopatico”.

L’articolo, dato il contesto e visto il linguaggio impiegato, rientra nell’iconografia più tipica della campagna elettorale democratica, secondo cui il candidato repubblicano sarebbe una sorta di “Dottor Stranamore”, pronto a scatenare guerre contro tutti i veri o presunti nemici degli Stati Uniti, senza troppi sensi di colpa. Ma per credere a questo tipo di messaggio occorre un gran lavoro di rimozione della realtà. Prima rimozione: Fernando Barral, per sua stessa ammissione, è un volontario servitore di uno dei più duri e duraturi regimi totalitari del mondo. Accetta e santifica la legittimità del castrismo e di tutti i suoi crimini: da 11mila a 18mila dissidenti assassinati per le loro idee. Il suo percorso politico lo ha portato prima a lavorare per il regime comunista ungherese, proprio nel periodo in cui quest’ultimo stava “normalizzando” il Paese dopo la fallita rivoluzione anticomunista del 1956. Ovviamente Barral era dalla parte dei carri armati sovietici, non degli operai che difendevano la libertà del Paese sulle barricate. Trasferitosi a Cuba, la fede totalitaria di questo psicologo fu premiata per un articolo scientifico sulla “Attitudine Rivoluzionaria”, proprio mentre decine di migliaia di cittadini meno dotati di questa “attitudine” venivano gettati nel carcere di La Cabana, mandati ai lavori forzati a Isla de Pinos, usati come cavie per esperimenti biologici a Boniato o eliminati fisicamente dopo processi farsa. Per i medici che lavorarono al servizio del nazismo è stato coniato il termine di “volenterosi carnefici di Hitler”. Uno psicologo che presta la sua opera per il regime comunista cubano, invece, è ritenuto una persona degna e una voce attendibile nel momento in cui esprime un suo parere su un candidato democraticamente eletto negli Stati Uniti.

Seconda rimozione: lo studio sulla “Attitudine Rivoluzionaria” fu premiato con un viaggio nel regime del Vietnam del Nord, che allora stava combattendo contro gli Stati Uniti. Non si trattava di un viaggio di piacere, ma di un soggiorno per “ricerche”. E queste “ricerche” non riguardavano affatto la psicologia dei cittadini colpiti dalla guerra, tantomeno dalla violenza del regime di Hanoi (che allora aveva già assassinato a freddo circa 1 milione di “nemici di classe”), bensì la “la mentalità del nemico”. I prigionieri americani catturati dai nordvietnamiti sarebbero state le sue “cavie”. D’accordo: si trattava di una ricerca incruenta, consistente in una serie di interviste e questionari, ma ci rendiamo conto del significato di questo studio? I nemici del comunismo, sia quelli interni che quelli esterni, erano considerati come degli anormali, degni di una cura psichiatrica. A Cuba, l’uso massiccio della psichiatria sui prigionieri politici è un fatto risaputo e denunciato dai dissidenti. Un medico cubano che praticava l’elettroshock sui dissidenti è stato recentemente processato e condannato negli Stati Uniti, dove si era rifugiato dopo essere caduto in disgrazia presso il suo regime. Anche chi combatteva il comunismo con le armi in pugno, come gli ufficiali e i soldati americani impegnati nel Vietnam, non potevano che essere dei malati di mente. McCain, forse per rispetto dell’intervistatore, non viene definito un pazzo, ma Barral lo lascia intendere in ogni sua dichiarazione sul suo “ego smisurato”, sulla sua “assenza di sensi di colpa”, sulla sua “voglia di fare carriera” e sul fatto che “si sentiva superiore ai vietnamiti quando era a bordo del suo aereo, forte del suo addestramento”: il tipico stereotipo dell’imperialista psicopatico, come nella più classica iconografia comunista. Un personaggio che, secondo i dettami del regime comunista, era buono solo se rieducato. I biologi nazisti che consideravano i prigionieri ebrei, slavi e zingari come degli esseri inferiori sono tuttora considerati come un simbolo dell’orrore totalitario. Uno psicologo cubano che va nel Vietnam per studiare il perché i nemici del comunismo siano dei malati di mente, è invece considerato un uomo degno di rispetto e una fonte attendibile.

Terza rimozione: i prigionieri americani (tra cui McCain) usati come “cavie” nello studio del dottor Barral, erano costretti a vivere in condizioni terribili. Contro ogni convenzione sul rispetto dei prigionieri, i comunisti vietnamiti li torturavano per estorcere loro informazioni, li impiegavano per i lavori forzati, li costringevano a sessioni di rieducazione per far loro rinnegare la fede e le convinzioni personali. E in molti casi li eliminavano fisicamente. Su questa realtà, che si è protratta ben dopo la fine della guerra (gli ultimi prigionieri furono liberati solo nel 1984), l’articolo fa solo un accenno: “McCain fu condotto al luogo dell’intervista dall’infame ‘Hanoi Hilton’, una prigione in cui i militari americani erano torturati e vivevano in misere condizioni”. Non è un particolare da poco, soprattutto per chi ha vissuto sulla sua pelle quell’esperienza. Ma in campagna elettorale tutto è permesso, anche trasformare un eroe di guerra che ha resistito alla rieducazione e alle sofferenze del gulag nordvietnamita, in una specie di psicopatico guerrafondaio. Tanto lo attesta lo stesso dottor Barral, che alla fine dell’articolo esprime la sua speranza che le elezioni siano vinte da Barack Obama, perché “rappresenta il cambiamento”. Se lo dice lui...


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