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Gaza, esplode la crisi annunciata
di FEDERICO PUNZI

[03 mar 08] Quanto avevamo anticipato (“Israele è pronta per l’offensiva a Gaza”) sta accadendo. Nessuna dote in particolare, se non l’accortezza di prestare attenzione a quanto accade in Medio Oriente anche quando sono i razzi di Hamas a colpire le cittadine israeliane. E, come previsto, i media occidentali sono di nuovo tornati ad occuparsi del problema solo nel momento in cui è scattata la reazione israeliana, contro cui risuonano le reprimende “onusiane” ormai di rito, che bollano la reazione come “eccessiva e sproporzionata”. Se di “sproporzione” ha peccato Israele nei suoi atti di legittima difesa, si è trattato di una sproporzione per difetto, tanto che da minacce come il lancio di razzi dalla striscia di Gaza non è ancora al riparo. Non ci sorprendiamo più se il titolo che il Corriere della Sera sceglie per la sua analisi (“Sotto le macerie una vittima comune: il negoziato di pace”) fa eco alla dichiarazione del negoziatore capo palestinese Saab Erekat: il processo di pace con Israele “è ormai sepolto sotto le macerie di Gaza”. La “pace” stranamente non viene mai data per sepolta sotto le macerie provocate dai razzi di Hamas. Ancora non è chiaro che tipo di offensiva abbia deciso di lanciare il governo israeliano, anche se vari indizi ci inducono a propendere per un’operazione su larga scala, con raid aerei e invasione di terra, allo scopo di annientare Hamas, anche se certamente non mirata ad una nuova occupazione. Per Olmert sarà imperativo categorico questa volta non ripetere gli errori commessi contro Hezbollah in Libano.

Da ben sette anni, quotidianamente o quasi, cade una pioggia di razzi Qassam su un paio di cittadine israeliane (Sderot e Askhelon) ai confini con la striscia di Gaza, da cui – vale la pena di ricordarlo – Israele si è completamente ritirato ponendo fine definitivamente all’occupazione. Ma in questi ultimi mesi Hamas e Jihad islamica sono riusciti a potenziare gittata e forza esplosiva dei razzi, ora in grado di fare più vittime: solo nei due giorni precedenti l’incursione, un morto e un ferito (un bambino colpito nel salotto di casa). Naturalmente una reazione di forza israeliana è proprio ciò che Hamas sperava di suscitare, speculando sulla pelle della popolazione palestinese: sia per accreditarsi presso i palestinesi della Cisgiordania, rimasti sotto l’autorità più moderata di Abu Mazen, come l’unico movimento che prosegue la lotta contro Israele; sia perché, trasformando Gaza in un nuovo caso umanitario capace di mobilitare la solidarietà internazionale, auspica di poter costringere prima o poi qualche vicino, la stessa comunità internazionale o addirittura Israele, a un gesto, un passo che implicitamente costituisca un riconoscimento politico alla sua autorità sulla striscia di Gaza. Israele, pur consapevole di fare il gioco di Hamas, non poteva più evitare di agire. Ormai da molto tempo la pressione dell’opinione pubblica sul governo Olmert stava aumentando. L’idea di una pace con Hamas è del tutto irrealistica, perché si tratta di un’organizzazione fondamentalista e terroristica che ha iscritto nella sua carta costitutiva l’obiettivo di distruggere lo Stato ebraico. Una tregua permetterebbe solo ad Hamas di sfruttare la calma momentanea per rafforzare le sue milizie e il suo potenziale distruttivo. Le operazioni militari su scala ridotta tentate in passato non hanno risolto il problema del lancio dei Qassam, sempre ripresi pochi giorni dopo la loro conclusione, senza neanche risparmiare a Israele critiche e contraccolpi negativi in termini di immagine.

Per questi motivi e per la particolare situazione strategica, che vede Israele oggetto di molteplici tentativi di accerchiamento (oltre ad Hamas, Siria, Hezbollah, Iran), è probabile che l’offensiva attuale sia mirata a porre definitivamente fine al governo e a qualsiasi potere di Hamas sulla striscia di Gaza, attraverso la sistematica distruzione, una per una, di tutte le sue istituzioni, militari e civili, e roccaforti. E quindi, in prospettiva, a porre le basi per il ripristino sulla striscia di Gaza dell’autorità del presidente palestinese Abu Mazen. Sarebbe l’unico modo di far cessare stabilmente il lancio di missili Qassam sulla popolazione israeliana. Tale operazione coinvolgerebbe inevitabilmente la popolazione civile palestinese. Anche perché, mentre sono indirizzati verso Israele i soliti ipocriti rimbrotti da parte della comunità internazionale, Hamas conduce una guerra irregolare, di cui poco si parla, condannata da tutte le convenzioni, senza divisa e mischiandosi tra i civili, che usa come scudi umani. L’offensiva contro Hamas potrebbe anche provocare un’estensione del conflitto. Gli Hezbollah, ansiosi di vendicare la morte di uno dei loro leader, Imad Mughniyeh, potrebbero essere tentati di aprire un secondo fronte, impegnando Israele a nord. Secondo alcune fonti militari, navi da guerra americane starebbero raggiungendo le coste di Israele e Libano, pronte a intervenire nel caso in cui gli Hezbollah aprissero un nuovo fronte nel sud del Libano o il boicottaggio dell’elezione del nuovo presidente del Paese dei cedri sfociasse in aperta guerra civile.

Dal punto di vista politico, Stati Uniti e Unione europea (quest’ultima non senza mugugni e appelli di facciata alla pace) dovrebbero fornire copertura diplomatica all’offensiva israeliana, ma il rischio è che, come al solito, con il protrarsi e l’inasprirsi delle operazioni militari comincino ad esercitare pressioni per un cessate-il-fuoco troppo anticipato rispetto ai tempi necessari per il conseguimento degli obiettivi militari. Certamente, tra le cause di questa ennesima crisi vi sono l’indifferenza della comunità internazionale, e la scarsa incisività delle politiche americane ed europee, riguardo le tre gravi minacce che si stanno addensando contemporaneamente su Israele. Dopo il golpe di Hamas si è lasciato che si deteriorasse la situazione nella striscia di Gaza, divenuta base di attività terroristiche esattamente come l’Afghanistan per Al Qaeda. Per ora né l’Onu né gli sforzi diplomatici di Stati Uniti e Unione europea sono riusciti a fermare o a rallentare lo sviluppo della bomba atomica da parte dell’Iran, che ha fatto della cancellazione di Israele dalle carte geografiche un suo obiettivo esplicito. Il confine con il Libano non è affatto stato neutralizzato. Nonostante la presenza della missione internazionale Unifil, le milizie di Hezbollah, finanziate dall’Iran, non solo non sono state disarmate, ma si stanno riarmando, mentre le fazioni filo-siriane stanno ostacolando l’elezione del nuovo presidente della Repubblica, nel tentativo di gettare il Libano nuovamente in una condizione di caos funzionale all’influenza siriana e iraniana sul Paese. Insomma, sembra che Israele ancora una volta potrà contare solo sulla sua forza militare e sul suo diritto all’autodifesa.

Nella notte si sono verificati sviluppi inattesi. Inaspettatamente, infatti,
il premier israeliano Olmert ha ordinato il ritiro delle truppe di terra dal
nord della striscia di Gaza, prima ancora che la missione fosse completata
(subito sono ripresi i lanci di razzi contro le cittadine israeliane di
confine), suscitando le proteste dei membri della commissione Esteri e
Sicurezza della Knesset. Una decisione davvero "sorprendente e senza
precedenti", che tra l'altro ha offerto ai leader di Hamas l'occasione di
proclamarsi vittoriosi sull'esercito israeliano che batte in ritirata. Proseguono raid aerei e colpi di artiglieria, che però, come spiegano fonti militari, già in passato si sono dimostrati inefficaci nel porre fine al lancio di razzi qassam dalla Striscia. Secondo Olmert, attacchi brevi e intensi avrebbero dovuto disinnescare la crisi ed evitare la necessità di un'offensiva militare più ampia. Il suo stop appare quindi una censura dell'operato dei ministri degli Esteri e
della Difesa, Livni e Barak, e delle posizioni dei ministri "falchi", Avi Dichter e Shaul Mofaz.

Ma è possibile che la fine dell'incursione di terra sia stata chiesta direttamente da Washington. Secondo fonti politiche israeliane il segretario di Stato Usa, Condoleezza Rice, avrebbe minacciato di cancellare la sua visita, prevista per il 4 marzo, nel caso in cui si fosse dovuta svolgere a operazioni ancora in corso. La Rice avrebbe inoltre addossato al governo israeliano la colpa della sospensione dei colloqui di pace, decisa dal presidente palestinese Abu Mazen, e quindi accusato Gerusalemme di minare l'intera strategia dell'amministrazione Bush in Medio Oriente. Olmert avrebbe quindi deciso di piegarsi alle pressioni americane. In ogni caso, resta il fatto che ancora una volta il governo israeliano è apparso lacerato al proprio interno e incapace di portare fino in fondo le decisioni prese. E i tentennamenti del governo non fanno che acuire il senso di insicurezza e frustrazione presso l'opinione pubblica israeliana.



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