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Israele è pronta per l'offensiva a Gaza
di
Federico Punzi

[21 feb 08] Anche se ultimamente un po’ oscurato dalla campagna elettorale nostrana, il Medio Oriente rimane l'area più a rischio e sempre in procinto di esplodere del pianeta. E le due questioni all'ordine del giorno nei prossimi mesi, settimane, o giorni, si chiamano Iran e Hamas, quasi del tutto oscurati dai media ultimamente. E così passa sotto silenzio, oggi, che un bambino israeliano di otto anni abbia perso una gamba perché un missile è entrato nel suo salotto. Non passerà sotto silenzio, invece, la reazione a cui prima o poi Israele sarà costretto per porre fine al lancio quotidiano di decine di missili Qassam dalla striscia di Gaza. Il fatto della scorsa settimana è l'attentato in cui è rimasto ucciso a Damasco, in Siria, Imad Mughniyeh, comandante militare di Hezbollah. Un terrorista feroce, responsabile di rapimenti, stragi di massa, attentati kamikaze, e per questi atti noto ai governi occidentali fin dagli anni Ottanta. Su di lui l'Fbi aveva posto una taglia di 5 milioni di dollari, ma è improbabile che l'artefice della sua uccisione si presenti a incassarla. Naturalmente, la reazione di Iran, Siria ed Hezbollah è stata veemente e indirizzata contro Israele. Hanno minacciato vendetta e messo nel mirino il premier israeliano Olmert e il ministro della Difesa Barak.

Il governo israeliano ha naturalmente negato ogni coinvolgimento e in effetti non si possono escludere altri scenari e responsabili. Ad assassinare Mughniyeh potrebbero essere stati gruppi sauditi e libanesi, per la sua responsabilità nell'omicidio dell'ex primo ministro libanese Hariri; gli americani, che gli danno ufficialmente la caccia dall'attentato all'ambasciata Usa a Beirut nel 1982, o perché agente chiave degli iraniani nella destabilizzazione dell'Iraq, e per i suoi documentati contatti con al Zarqawi. Persino gruppi curdi anti-iraniani e anti-siriani potrebbero aver voluto vederlo morto. E - perché no? - Mughniyeh potrebbe essere rimasto vittima di una faida interna al movimento terroristico. C’è anche qualcuno, come Michael Ledeen, e il corrispondente della Cnn Jim Clancy, che ipotizza cheMughniyeh sia ancora vivo e che l’attentato sia una messa in scena per fornire a Iran, Siria ed Hezbollah un pretesto per attaccare Israele preventivamente, prima che possa colpire le infrastrutture iraniane per la fabbricazine della bomba. Nel caos di sangue e violenza che domina in Medio Oriente non sapremo mai con certezza chi lo ha ucciso. Di sicuro, la pista che porta al Mossad israeliano rimane quella più probabile, soprattutto se si considerano alcuni importanti fattori. Non solo la dimestichezza degli israeliani con la pratica delle eliminazioni mirate, per le quali Israele è condannato dagli stessi governi, forze politiche e opinioni pubbliche europee che poi invocano una lotta al terrorismo che colpisca i veri responsabili senza coinvolgere le popolazioni. Mughniyeh non era solo un capo terrorista, ma anche un abile stratega militare e soprattutto l'anello di collegamento politico di una triade del terrore, del cosiddetto asse del male, che godeva della fiducia sia di Damasco che di Teheran.

Per questo, chiunque lo abbia eliminato ha voluto lanciare un minaccioso avvertimento anche a Iran e Siria, i cui regimi sembrano convinti di potere impunemente alimentare il terrorismo, destabilizzare il Libano, colpire Israele, divenire egemoni nella regione. Il fatto che l'attentato sia avvenuto a Damasco, a pochi passi dalla scuola iraniana e dagli uffici dell'intelligence siriana, dimostrerebbe la volontà di Israele di far comprendere a quei governi la capacità dei propri servizi segreti di infiltrarsi e concludere operazioni senza venire fermati e scoperti; la capacità quindi di colpirli al cuore e al cervello. Nessun terrorista può sentirsi al sicuro, neppure nella Siria di Assad, che dimostra ancora una volta, con la presenza di Mughniyeh nella capitale, di essere il luogo in cui si nascondono le peggiori trame terroriste. D'altra parte Israele ha dato già prova di essere capace di operare con successo in Siria. L'uccisione di Mughniyeh ha un valore simbolico e strategico molto simile al raid aereo che ha distrutto una centrale atomica in costruzione nel nord del Paese, rivendicato alcuni giorni dopo dal governo israeliano. Anche l'uccisione di Mughniyeh ha in sé tutti i caratteri di un'operazione con la quale Israele ristabilisce il proprio potere di deterrenza, oltre ad eliminare una figura di spicco di Hezbollah non facilmente rimpiazzabile sia dal punto di vista operativo che politico.

L'Iran rimane la minaccia più grave all'esistenza di Israele. E, che Mughniyeh sia davvero morto o no e chiunque lo abbia ucciso, ora a Washington e Gerrusalemme si teme che gli infiammati discorsi di questi giorni da parte dei leader militari iraniani e dello stesso presidente Ahmadinejad (che ha definito Israele “uno sporco microbo nero”, “un animale selvaggio”, “lo spaventapasseri dell’Occidente”) facciano parte di una strategia votla a creare un clima propizio per un attacco. Senza molta pubblicità Israele si è dotato di una unità di crisi, di cui farebbero parte il capo del Mossad Bemir Dagan, il primo ministro Olmert e il ministro della Difesa Baral, il direttore dello Shin Beit Yuval Diskin. Il governo israeliano avrebbe anche in mano le prove che dimostrano come Teheran stia proseguendo con il suo programma di arricchimento dell'uranio anche a scopo militare, per dotarsi della bomba atomica. La recente visita del primo ministro Olmert in Germania, primo partner commerciale europeo dell'Iran, avrebbe avuto un duplice obiettivo: mostrare al cancelliere tedesco Angela Merkel le prove dei progressi iraniani verso la bomba e preparare la Germania, e l'Ue, a una prossima, inevitabile, operazione militare israeliana nella striscia di Gaza. A causa dei missili Qassam, che quotidianamente Hamas lancia in territorio israeliano una parte della popolazione civile vive ormai sotto costante minaccia. La cittadina di Sderot, tra le più colpite, rischia di trasformarsi in una città fantasma. E nell'intera popolazione di Israele si diffonde ormai la percezione che il governo non sia in grado di garantire la sua sicurezza.

Naturalmente una reazione di forza israeliana è proprio ciò che Hamas spera di suscitare: sia per accreditarsi presso i palestinesi della Cisgiordania, rimasti sotto l'autorità più moderata di Abu Mazen, come l'unico movimento che prosegue la lotta contro Israele; sia perché, trasformando Gaza in un nuovo caso umanitario capace di mobilitare la solidarietà internazionale, auspica di poter costringere prima o poi qualche vicino, o la stessa comunità internazionale, a un gesto, un passo che implicitamente costituisca un riconoscimento politico alla sua autorità sulla striscia di Gaza. Il governo israeliano è consapevole di fare il gioco di Hamas, ma non può più evitare di agire. E' in preparazione un'offensiva su larga scala nella Striscia di Gaza, che punta alla totale distruzione di Hamas, anche se inevitabilmente coinvolgerà la popolazione civile. Non avrebbe senso, infatti, un'operazione minore, di semplice contenimento o riduzione del danno, perché non risolverebbe alla radice il problema pur scatenando ugualmente effetti negativi. Olmert sta cercando di preparare nel migliore dei modi questa offensiva dal punto di vista diplomatico. E' probabile che chieda all'Unione europea di tenersi pronta a mandare a cose fatte un contingente militare per dare il tempo ad Abu Mazen di riprendere il controllo sulla Striscia di Gaza. Di tutto questo anche il governo italiano sarà presto chiamato a occuparsi, ma i nostri politici non sembrano esserne consapevoli.



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