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La sinistra italiana ha paura della paura
di ANTONIO FUNICIELLO

[16 mag 08] Chi ha paura della paura? A guardarsi in giro, la destra poco, la sinistra invece parecchio. Il ricorso al fattore “paura” nell’analisi del voto italiano, ma anche di quelli di altri Paesi occidentali, è difatti a sinistra il più inflazionato. Con l’immagine di una destra che semina panico nel panico sparso dalla globalizzazione, la sinistra italiana pretende di spiegare non solo la propria sconfitta, ma anche la disfatta dei laburisti alle recenti amministrative e finanche le difficoltà dei democratici americani. Un Occidente impaurito che sente vacillare le proprie acquisite sicurezze sociali ed economiche, si rivolgerebbe a una destra disposta istintivamente alla rassicurazione, verso cui è pure culturalmente più preparata. Una destra che come quel venditore di parafulmini dell’omonimo racconto di Melville, se ne andrebbe in giro durante i temporali a bussare alle porte di cittadini atterriti, convincendoli, a ogni scintillar di lampo e risuonar di tuono, della bontà delle proprie salvifiche, ancorché economicissime, aste di rame.

Lascia abbastanza sconcertati che dopo i primi commenti a caldo di un mese fa, i più si ostinino ancora oggi a spiegare l’esito elettorale in termini di panico. Anzitutto perché, anche prendendo per buone le ricostruzioni dei dirigenti della sinistra italiana su una destra che darebbe risposte semplici alle complesse domande di cittadini socialmente ed economicamente spaventati, si va incontro ad una evidente nonsense. Ammettiamo che le cose stiano esattamente così: gli italiani hanno paura e la destra riesce prontamente a rassicurarli. Impugnando una tesi tanto elementare, la sinistra, invece di domandarsi le ragioni per cui fatica a elaborare risposte altrettanto repentine e rincuoranti, tende per lo più a rimproverare alla destra la semplicità delle sue risposte, quando non malcelatamente a biasimare gli italiani per il fatto stesso di sentire paura. Un paradosso che nasconde il ritardo popolare della sinistra (e del Partito Democratico) e la sua storica supponenza salottiera.

Una politica che non sa rispondere efficacemente alla paura, è una politica che abiura a se stessa. Il superamento di uno stato di paura è nella storia il passaggio essenziale per ogni avanzamento dello stato di benessere dell’individuo. La scoperta del fuoco, prima di dare l’abbrivio all’irruzione della tecnica nella vita quotidiana, ha suscitato paura. L’attraversamento delle colonne d’Ercole, prima di rappresentare una delle più straordinarie avventure della razza umana, è stato il simbolo di secoli di timore e tremore reverenziale. Gli esempi sono tanti. Saul Bellow ha scritto che la paura governa da sempre il genere umano e, come forza modellatrice, è seconda solo alla natura (Il re della pioggia). Lasciarsi immobilizzare e, addirittura, modellare dalla paura è una reazione umanissima. Ma un governante, che dopo un preventivo sgomento, non reagisca alla paura facendo del suo superamento il motivo stesso della funzione pubblica per cui è stato scelto, abdica al suo ruolo.

Alla paura si deve rispondere con prontezza; che la destra lo faccia, va semplicemente a suo merito; che le sue riposte possano rivelarsi incomplete è un discorso diverso. La sinistra, però, non deve limitarsi - ammesso poi che lo faccia davvero e in maniera pertinente - a completare le risposte incomplete della destra, ma anche a farlo in fretta, prima che la propria balbuzie accresca il panico diffuso. La paura della globalizzazione, dopo tutto, segue le mille altre paure che, nel corso del tempo, hanno variamente percorso la storia della civiltà occidentale: per i governanti non è affatto una novità avere a che fare con governati impauriti. La sinistra, però, ha paura della paura. Coi feticci impresentabili del terzomondismo e dell'internazionalismo pretende di districarsi alla peggio in una fitta vegetazione di angosce profonde e reciproche diffidenze. Ma la velocità con cui il mondo oggi si muove, arrivando a produrre una tale ostica vegetazione, è frutto dell’iniziativa di quello stesso Occidente impaurito. E’ l’Occidente ad avere impresso al mondo intero il ritmo che scandisce i suoi mutamenti, producendo per altro un oggettivo, perché misurabile, miglioramento delle condizioni di vita. Nei confronti della denunciata paura si può rispondere contestando modi e tempi del ritmo che l’Occidente ha impresso al proprio modello di sviluppo globale, come fa la sinistra comunista o come scrive Giulio Tremonti nel suo La paura e la speranza. Oppure si può difendere il modello occidentale e accettare con sollecitudine di sfidare in campo aperto angosce e diffidenze. Per una sinistra che intenda smettere di avere paura della paura, la sola strada possibile.


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