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[05 mag 08] Il 25 aprile, in Italia, dopo 63 anni continua a dividere e a far discutere. Ma esiste un altro 25 aprile. Un 25 aprile alternativo.E’ l’Anzac Day, la giornata in cui – in Australia, in Nuova Zelanda, in Turchia – si ricorda lo sbarco di Gallipoli, sui Dardanelli, e si commemorano i caduti di tutte le guerre. Il 25 aprile del 1915 le truppe australiane e neozelandesi (l’Australian and New Zealand Army Corps) – insieme ad altri soldati britannici e francesi – tentarono un attacco a sorpresa che aprisse loro la via per Istanbul. Ma le guarnigioni dell’Impero ottomano guidate da Mustafa Kemal (il futuro Atatürk) respinsero i primi invasori anche aiutate dal terreno scosceso della penisola, la campagna divenne un bagno di sangue per tutti, gli assalitori fallirono i loro obiettivi strategici, il ritiro venne perfezionato nel dicembre successivo. Una sconfitta sonora e decine di migliaia di vittime. Lo sbarco del 25 aprile 1915 ha però segnato la nascita di miti e rituali che ancora oggi forgiano l’orgoglio nazionale australiano e neozelandese. Bruce Scates, studioso australiano, ha ricostruito nel recente Return to Gallipoli. Walking the Battlefields of the Great War (Cambridge University Press, 2006) le origini del pellegrinaggio a Gallipoli e i meccanismi che lo hanno trasformato in un vero e proprio rito di passaggio per i giovani australiani.
Sulla spiaggia di Anzac Cove (allora chiamata Ari Burnu), al momento e nel luogo esatto dello sbarco, la tradizionale funzione dell’alba rievoca la tensione dei primi soldati arrivati, ricorda con rispetto quelli uccisi subito ma anche negli otto mesi successivi. La funzione è attesa sulla spiaggia, tra tende e fiaccole, ed è seguita da una lenta processione a ripercorrere i sentieri dei soldati, attraversando però cimiteri e monumenti, per giungere dopo qualche chilometro in altri luoghi della memoria, in cui si tengono altre solenni funzioni. Il “dawn service” viene celebrato anche in Australia e in Nuova Zelanda, nelle grandi città e in piccoli centri: alla stessa ora dello sbarco di Gallipoli, secondo lo stesso rituale, con gli stessi fiori e le stesse armi capovolte, nello stesso silenzio impreziosito da squilli deferenti di tromba e da inni struggenti. In più, vengono organizzate marce e parate in cui sfilano i veterani di tutte le guerre, tra ali di folla – come le prime spontanee e informali del 1916, compresa quella di Londra, per il primo Anzac Day. La ritualizzazione fu infatti immediata, d’impeto popolare. Lo sbarco di Gallipoli fu il primo grande evento mondiale a cui australiani e neozelandesi parteciparono da protagonisti; e nello “spirito Anzac” di sacrificio individuale e cameratismo venivano ritrovati gli elementi alla base dell’identità nazionale.
Ma le cerimonie dell’Anzac Day, nel corso dei decenni, hanno vissuto profonde trasformazioni. Negli anni Venti, funzioni e parate si sono diffuse in tutti gli Stati della federazione australiana – con cerimonie coordinate a partire dal 1927; mentre subito dopo la Seconda guerra mondiale si sono aggiunti, ai veterani della Grande guerra, quelli del 1939-1945 e poi delle guerre in Corea, in Malesia, in Indonesia, in Vietnam – fino ai reduci attuali degli interventi a Timor est e in Iraq. Dopo un sensibile calo di interesse durante gli anni Sessanta e Settanta, causato dalla ventata pacifista che demonizzava il mestiere delle armi, negli anni Ottanta e Novanta l’Anzac Day ha ripreso il vigore e riconquistato l’attenzione di un tempo – con affluenza sempre crescente a partire dalle funzioni dell’alba e coinvolgimento delle generazioni più giovani (i discendenti dei soldati morti ne hanno preso il posto nelle parate). Addirittura, dal 1995 l’Anzac Day ha trovato una sua consacrazione – laica, ovviamente – nello sport: nell’annuale derby di football australiano tra Collingwood ed Essendon, in cui lo spirito di ardimento e sacrificio degli Anzac rivive idealmente nell’agonismo dei calciatori e nella loro partecipazione ai rituali organizzati al Monumento ai caduti e direttamente sul terreno di gioco.
A questa dimensione prettamente nazionalistica delle celebrazioni dell’Anzac Day, comunque prevalente, se ne è da subito aggiunta un’altra in cui la rivendicazione delle appartenenze nazionali lascia il posto alla condivisione della memoria che è superamento catartico degli odi e delle divisioni del passato. Vincitori e vinti, aggressori e aggrediti, da molti decenni ad Anzac Cove si tendono la mano e commemorano insieme le vittime di tutti: australiani, neozelandesi, francesi, inglesi, ma anche turchi. Del resto, già nel 1923 Mustafa Kemal Atatürk aveva scritto: “Voi, madri che avete mandato i vostri figli da terre lontane, asciugate le lacrime; i vostri figli riposano adesso nel nostro grembo e sono in pace. Dopo aver perso la loro vita in questa terra, sono diventati i figli anche nostri.” Un 25 aprile in cui l’altro non è più un nemico ma fa parte della stessa comunità ideale.
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