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Una riforma per chiudere la stagione dei veleni
di ENRICO GAGLIARDI

[07 lug 08] Forse è esagerato parlare di spallata, come molti quotidiani hanno fatto, a proposito delle parole utilizzate da Umberto Bossi circa la situazione che sta movimentando la vita del centrodestra. Il leader della Lega Nord ha messo in luce come vi sia troppo marasma all’interno della maggioranza di governo. A dirla tutta è difficile dargli torto, considerando anche la reazione veemente di Silvio Berlusconi verso le illazioni riguardanti le nuove intercettazioni telefoniche in realtà mai pubblicate. Il momento è piuttosto delicato ed il Senatur teme per una possibile fine anticipata del governo che comprometterebbe il federalismo fiscale al quale tanto è interessato l’elettorato del nord. Probabilmente Bossi, a modo suo, nei termini e nei modi che lo contraddistinguono, ha semplicemente voluto lanciare un monito allo stesso Presidente del Consiglio per metterlo in guardia rispetto ad uno scontro, quello tra la giustizia e la politica, che si sta sempre di più trasformando in un gioco al massacro. Sono le sue stesse dichiarazioni a confermare un’ipotesi siffatta: quando il primo esponente della Lega dichiara che il suo partito si sfilerebbe solo se si votasse contro il federalismo, fornisce un indizio ben preciso sulle sue reali intenzioni, su quello per cui il proprio elettorato di riferimento gli ha dato fiducia. Intanto quel clima di legittimazione reciproca che sembrava contraddistinguere i primi giorni della legislatura sembra di colpo sparito: i giudici sono in stato di agitazione ed il ritorno a quel clima di scontro tra 2001 e 2005 è ormai sempre più una drammatica realtà.

In tutta evidenza quello di Bossi sembra più un consiglio, un bonario avvertimento che una minaccia: in buona sostanza la Lega Nord sembra aver abbandonato i comportamenti dei primi tempi, quelli più vicini allo stomaco che alla testa, alla volta di una atteggiamento più sagace, più strettamente diplomatico (seppur sempre con i vecchi toni). La sinistra come era prevedibile sta approfittando della situazione di caos generale anche se in maniera non completa: Walter Veltroni è impegnato su più fronti, non ultimo quello interno con un Antonio Di Pietro che sempre più gli sta rubando la leadership. Nella giornata di sabato inoltre al congresso dei Socialisti a Montecatini il leader del Pd è stato oggetto di fischi da parte di un gruppo piuttosto nutrito, segno questo che non tutte le posizioni dell’ex sindaco di Roma vengono comprese nel loro complesso. Dopo un breve periodo, durante il quale il nostro appariva come un Paese a democrazia matura, dove la politica nella sua totalità dialogava per attuare le riforme strutturali necessarie alla vita del Paese, si assiste nuovamente alla fase del tutti contro tutti, in cui ciascuno si preoccupa solo delle questioni contingenti, senza pensare agli interessi reali di un’economia sempre più stagnante: ecco i veri danni delle vicende giudiziarie di Berlusconi, ecco come le questioni di uno stanno diventando di riflesso, volente o nolente, quelle di tutti.

Al cavaliere probabilmente va imputata la responsabilità di non saper cogliere nel modo giusto questo clima: l’Italia è pronta, l’Italia vuole senza più alcun indugio una riforma strutturale della giustizia la quale, una volta resa degna di un moderno Stato di diritto, risolverebbe in un solo colpo tutte le questioni sul tavolo. Verrebbe infatti chiusa definitivamente la stagione dei veleni, dello scontro magistratura-politica e nel contempo si assisterebbe anche ad una nuova fase, quella di una giustizia finalmente giusta. Il Paese è pronto e soprattutto non più interessato, smarrito com’è, alle beghe tra il cavaliere ed il giudice di turno. Perché non approfittare (positivamente) della situazione ed agire con prontezza? La stessa abolizione, o almeno modifica, dell’obbligatorietà dell’azione penale, se inserita in una più ampia riforma, fugherebbe il sospetto di fantomatiche leggi ad personam. Alla fine dei giochi sono questi i temi che veramente coinvolgono l’elettorato, stretto invece tra una battaglia fra poteri che non vuole ma che comunque costretto a subire, più da tifoso che da soggetto responsabile in grado di scegliere. Questo è uno dei tanti effetti negativi di un clima di scontro continuo: la prosecuzione di una guerra civile ideologica, nemmeno tanto carsica, che ricorda i guelfi e i ghibellini. Il Paese può permettersi tutto questo?


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