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Divise scolastiche, una scelta di autonomia
di STEFANO CALICIURI

[02 lug 08] I bambini devono tornare ad essere bambini, abbandonando l’idea di essere già grandi e per questo dovranno considerare la scuola come un istituto di formazione e cultura e non una passerella su cui mostrare i loro status symbol. Questa, in estrema sintesi, l’idea del ministro Gelmini che ha accolto un suggerimento della deputata ventinovenne Gabriella Giammanco (Pdl). Addio jeans griffati, top aderenti e pance scoperte: la proposta vorrebbe reintrodurre l’obbligo della divisa scolastica. Grembiule per i più piccoli delle elementari, completo intero per le classi di scuola superiore. Come nei college anglosassoni, per intenderci. Secondo il ministro all’Istruzione, indossare una divisa consentirebbe ai ragazzi di appianare le differenze e di considerarsi un insieme, una squadra che avanza nella stessa direzione e persegue gli stessi obiettivi. Non soltanto spirito di appartenenza: all’origine della proposta vi è anche il ritorno al decoro all’interno degli istituti scolastici. Gli allievi, sin dalla più tenera età, sfoggiano vestiti firmati e accessori di tendenza. La scuola, invece, dovrebbe essere il luogo per antonomasia in cui non conta la sostanza ma semplicemente l’essere.

Mariastella Gelmini nel rispondere alla proposta della parlamentare siciliana non si è sbilanciata su tempi e modalità, anche se ha fatto percepire un interesse nel portare avanti l’iniziativa: “I problemi dell’istruzione oggi sono altri ma credo che tutte le iniziative che i singoli istituti prenderanno nella propria autonomia per promuovere la dignità e i valori della scuola, compreso l’orgoglio di appartenere al proprio istituto, anche attraverso l’adozione di regole sull’abbigliamento o di una divisa, siano iniziative utili”. Indossare con orgoglio la felpa del proprio liceo potrebbe essere un primo passo perché in futuro, gli stessi ragazzi, possano guardare con spirito di appartenenza anche all’italico tricolore. E magari sperare che siano sempre meno i giovani che abbandonano la nazione per trasferirsi all’estero non necessariamente per studio ma per scelta di vita. Angela Nava, presidente dell’associazione che raccoglie le famiglie di sinistra, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare dalla sua appartenenza ideale, si dichiara contraria alla divisa imposta dal ministero: “Non si può normare l’abbigliamento. Però si possono dare forti indicazioni e per quanto mi riguarda credo che rispetto alle ciabatte e bermuda in classe una camicia ed un jeans decoroso possano diventare una sorta di divisa ideale”.

Più tecnico il commento di Giorgio Rembado, presidente dell’associazione che riunisce i presidi italiani: “Il senso di appartenenza alla scuola lo si ottiene soprattutto attraverso la condivisione di obiettivi educativi, senza imitare modelli anglosassoni, tuttavia se le scuole lo ritengono opportuno sono libere di scegliere anche uno stile di abbigliamento, una divisa, sebbene questo sia estraneo al nostro mondo”. Anna Oliverio Ferraris, docente di Psicologia dello sviluppo all’università La Sapienza di Roma, è invece estremamente favorevole alla proposta: “Essendo una sorta di divisa, riesce a strutturare i bambini come alunni. Li fa sentir parte di una comunità importante. E questo è fondamentale per loro, che devono sentirsi parte di un qualcosa all’interno del quale riconoscersi”. Una proposta che farà certamente ancora discutere. Ma anche questo rappresenta un piccolo passo verso la piena autonomia scolastica. Partire dall’introduzione di divise e dalla scelta dello stemma d’istituto per arrivare alla libertà di assunzione degli insegnanti e di redazione dei programmi didattici. Perché no?


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