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La semplicità alla base del nuovo mercato del lavoro
di FRANCESCO PASQUALI

[24 giu 08] La strada intrapresa dal Governo Berlusconi, specie su temi centrali come il lavoro e l’istruzione, va nella giusta direzione. Non si tratta, come sostiene il professore Francesco Giavazzi, di una “svolta a metà” ma di una “rivoluzione” avviata attraverso la semplificazione. I singoli provvedimenti non soltanto rientrano in una strategia di lungo periodo ma, contrariamente a quanto sostenuto nel suo editoriale sul Corriere della Sera, producono degli effetti percepibili nell’immediato. Ci troviamo di fronte ad una novità: la politica fornisce risposte concrete ai bisogni della società e per la prima volta sembra tenere il ritmo dei tempi dettati dal mercato globalizzato, insomma governa quei rapidi cambiamenti che rischiano spesso di creare delle improvvise fratture sociali.

I decreti e i disegni di legge rimediano ai guasti legislativi del governo Prodi che hanno depotenziato la legge Biagi, alleggeriscono il carico burocratico alle imprese, riconoscono il ruolo strategico delle università, rafforzano il collegamento tra percorsi di studio e mercato del lavoro, aumentando l’occupabilità dei giovani. I provvedimenti economici approvati dal governo rappresentano un primo passo per rimettere in moto la nostra economia in modo sinergico. Proprio recentemente l’Istat ha confermato che in Italia si sta riaffacciando l’allarme disoccupazione. Sebbene il nostro mercato del lavoro sia attraversato da un vento di ottimismo, tanto che sta venendo meno il fenomeno dello “scoraggiamento” e il numero delle persone che è in cerca di occupazione è tornato a crescere ad un livello che è il più elevato degli ultimi due anni, nel primo trimestre 2008 la disoccupazione segna un tasso del 7,1 per cento contro il 6,4 del primo trimestre 2007 (oltre 1,7 milioni di persone, il 13,2 per cento in più rispetto al 2007 con 205mila unità in più). Il fenomeno riguarda soprattutto il Meridione dove il tasso di disoccupazione è al 13 per cento (al nord al 4 e al centro al 6,1 per cento) e colpisce soprattutto giovani e donne. Oltre all’effetto ingessamento provocato dalle sciagurate misure contenute nel Protocollo sul Welfare, l’allargamento dell’area della disoccupazione “nel 41 per cento dei casi è dovuto a persone che un anno prima si dichiaravano inattive”.

Non è un caso, infatti, che sebbene l’occupazione (rapporto tra occupati e la popolazione di riferimento), nello stesso trimestre abbia registrato un aumento dell’1,4 per cento (in larga misura dovuto alla componente straniera di lavoratori a tempo indeterminato), un’analisi più attenta dei dati evidenzia che per la classe d’età tra i 25 e i 35 anni la condizione occupazionale peggiora in quanto da un lato aumenta il tasso di disoccupazione, dall’altro diminuisce – confermando la tendenza dei precedenti trimestri - il numero degli occupati. Continuare a difendere il Protocollo sul Welfare, elevandolo a modello di flexicurity come si ostinano a fare la Cgil e i ministri ombra del Pd, evidenzia la visione ideologica del lavoro - nello specifico della flessibilità – e l’incapacità di leggere con le lenti della modernità il nuovo mercato del lavoro. Maggiori regole non comportano necessariamente maggiori tutele e sicurezze per i lavoratori, anzi spesso rappresentano la causa principale dell’esclusione sociale delle nuove generazioni.

 


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