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Nucleare: la quarta generazione produce meno scorie
intervista a FRANCESCO TROIANI di BRUNO PAMPALONI

[23 giu 08] Nucleare di terza “avanzata” o di quarta generazione “italiana”? Anche se il governo sembra puntare tutto sulla prima soluzione, il dibattito fra gli esperti del settore resta aperto. A dire la verità molto più che a una discussione pare di assistere a uno scontro ideologico. Quasi una sorta di guerra di tutti contro tutti che, come dice Francesco Troiani, presidente di Nucleco spa (società partecipata da Sogin e Enea che provvede alla gestione delle sorgenti e dei rifiuti radioattivi), “non serve a nessuno e rischia di fare solo il gioco di chi, in Italia, le centrali non le vuole per partito preso”. Tanto più che terza e quarta generazione potrebbero anche coesistere. E’ questa per esempio la convinzione di Riccardo Casale. Il consigliere di Enea, Nucleco e Iride Energia spa, infatti, si è detto fiducioso che in campo energetico possa aprirsi “un mercato enorme anche perché le centrali di quarta sono in grado di bruciare la maggior parte delle scorie prodotte da quelle di terza”. Le scorie rappresentano in effetti il problema maggiore per gli impianti attualmente in funzione e proprio di rifiuti radioattivi abbiamo parlato con Francesco Troiani, fra i massimi esperti italiani in questo settore.

Dottor Troiani, può chiarire meglio la questione delle scorie create dagli impianti di seconda e di terza generazione?
Mi lasci prima aggiungere che - oltre all’elevato rateo di produzione di scorie radioattive altamente tossiche e che decadono dopo centinaia di migliaia di anni - gli attuali reattori presentano altri due problemi di una certa rilevanza: la bassa “efficienza” di sfruttamento del materiale fissile e la limitata disponibilità in natura dell’uranio. Infatti, se si continuerà a sfruttarle a questi ritmi, le riserve accertate di uranio si esauriranno entro il secolo. Ci tengo a sottolineare che sto parlando di riserve accertate. Per aumentarne le scorte, insomma, occorrerà probabilmente andare a cercare l’uranio tramite nuove, costose esplorazioni. E chissà se e quanto ne troveremo. E’ una situazione, questa, che non solo presenta molte analogie con quella relativa al petrolio, ma fa emergere i rischi legati alla precarietà degli investimenti nel settore.

La quarta generazione è in grado di superare questi limiti?
Diciamo che, oltre ad essere in grado di sfruttare meglio i materiali fissili, i reattori veloci di quarta generazione possono produrli partendo da materiali non fissili, come l’uranio-238 e, in futuro, anche il torio. Quest’ultimo, tra l’altro, molto abbondante in natura. Quindi, con processi di fertilizzazione, le centrali di quarta generazione potrebbero allungare decisamente la durata della fonte nucleare e minimizzare la produzione dei rifiuti radioattivi.

Che rappresentano uno dei massimi pericoli per l’ambiente.
In particolare, gli attinidi costituiscono, se rilasciati, una grande minaccia per gli organismi viventi e, pertanto, per una corretta gestione occorre isolarli dalla biosfera per lunghi periodi. Parlo di centinaia di migliaia di anni. E per farlo i costi sono molto elevati.

Ma si tratta di un trattamento sicuro?
Lo smaltimento definitivo in un deposito sotterraneo in strutture profonde geologicamente stabili - associato ad opportuni sistemi di contenimento - è una soluzione accettata, tecnologicamente sostenibile ed è in programma in molti Paesi. Tuttavia, oltre ai costi, restano problematiche di accettabilità pubblica, che potrebbero diventare critiche qualora un uso esteso dell’energia nucleare richiedesse un proporzionale aumento dei siti di smaltimento. A titolo di esempio si consideri che la produzione di scorie da parte del parco nucleare statunitense, al rateo attuale, richiederebbe la realizzazione di un sito di smaltimento della capacità radiologica del deposito geologico federale in via di realizzazione a Yucca Mountain (Nevada) ogni 20 anni.

E’ vero che a parità di energia prodotta, le centrali di quarta generazione sono assai meno costose?
La questione secondo me va precisata meglio. Per esempio: occorre distinguere tra chi, come la Francia, ha già fatto grossi investimenti per la realizzazione degli impianti attuali e chi, come l’Italia, vuole rientrare nel nucleare.

Dunque?
Dunque la Francia deve ammortizzare gli investimenti pregressi e allungare la filiera, mentre l’Italia può permettersi di soppesare molto bene la questione. E, considerate le problematiche connesse al trattamento della scorie radioattive, il nostro Paese avrebbe forti motivazioni per accelerare l’industrializzazione verso quelle tecnologie che permettano di ridurre fortemente le quantità, i tempi di confinamento, la radiotossicità ed il carico termico dei rifiuti a vita lunga. Tutto ciò per limitare quanto più possibile l’onere della gestione delle scorie e l’aumento significativo del numero dei siti di smaltimento. Ma mi permetta di dire che qualunque sia la scelta futura sull’opzione nucleare, l’Italia deve già adesso dimostrare la capacità di dare una risposta efficace alla problematica dei rifiuti radioattivi prodotti in passato, sia dall’industria nucleare sia – e ci tengo a sottolinearlo - dal comparto della ricerca, medica ed industriale. In assenza di una risposta certa a questa odierna problematica, l’opzione nucleare potrà non risultare accettabile e qualsiasi tentativo di utilizzo di questa fonte energetica potrebbe fallire. Le conoscenze e le metodologie sono disponibili.


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