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I teschi di cristallo, un mistero inventato
di
TIZIANA LANZA

[13 giu 08] “Mi trovavo a Lubaantun, durante una spedizione organizzata mio padre. Mi ero allontanata dal gruppo quando ad un certo punto da uno scavo mi raggiunse una luce riflessa, molto intensa. Mi avventurai allora a cercare l’oggetto che l’aveva provocata e mi trovai fra le mani un teschio di cristallo di rara bellezza. Fui presa da una grande emozione ma mi precipitai a chiamare mio padre…” Sono le parole di Anna Mitchell-Hedges, la collezionista privata più famosa quando si parla di teschi di cristallo. E già perché è stata lei ad alimentare una grande speranza in chi non vedeva l’ora di annoverare con certezza questi oggetti fra i reperti archeologici più antichi e misteriosi provenienti da civiltà pre-colombiane. Finalmente c’era un sito archeologico, quello di Lubaantum, un’antica città Maya situata nel Belize meridionale, a fare da culla a uno di questi teschi misteriosi che popolano i sogni dei fanatici della New Age e della fanta-archeologia. Oggi il quarto film della saga di Indiana Jones li riporta alla ribalta, e i fanatici dei teschi di cristallo tornano a sperare. Ma dopo la stangata di uno dei teschi più famosi, quello conservato al British Museum, da parte del professor Ian Freestone, dell’Università del Galles di Cardiff, che nel 2005 sostenne di avere le prove che questo teschio non è un artefatto azteco, come si credeva, ma che sarebbe stato invece fabbricato in Europa nel diciannovesimo secolo, adesso arrivano i risultati di 16 anni di studi dedicati a questi oggetti da parte di Jane Walsh una studiosa dello Smithsonian Institution di Washington. Inutile dire che anche le sue conclusioni lasciano poco spazio a velleità di mistero, antiche profezie e leggende che negli anni passati hanno accompagnato questi oggetti.

E così, mentre Indiana Jones, sugli schermi del cinema, si dà da fare per salvare questi oggetti, trovandosi, come nella sua tradizione, al confine fra la vita e la morte pur di onorare antichi misteri, la studiosa americana assicura che nessuno dei teschi può essere considerato antico. E sembra che li abbia passati al vaglio tutti dato che ci parla anche di teschi di una grandezza minima che si aggira intorno ai 3 centimetri, che fecero la loro comparsa attorno al 1860. Per questi teschi di prima generazione la studiosa concede la possibilità che possano essere stati forgiati con cristallo pre-colombiano di quello che si può rinvenire in contesti archeologici in Messico. Probabilmente alcuni sono stati forgiati semplicemente come un “memento mori” e immessi nel mercato europeo senza addirittura alcuna intenzione di trarre in inganno nessuno. Ma per quello che riguarda i teschi di Parigi, il discorso cambia totalmente. Sembra che il suo possessore, Eugène Boban, un antiquario che aveva negozi sia a Città del Messico che a Parigi nel 1870, forgiò il primo della seconda generazione di teschi. Ma ci si accorse subito che si trattava di una bufala, tanto che l’intrigante antiquario dovette recarsi a New York per venderlo all’asta. Fu allora acquistato per 950 dollari da Tiffany, che lo vendette dieci anni dopo al British Museum per la stessa somma. Anche la Walsh ha esaminato questo teschio con un microscopio elettronico per confermare che non si tratta di un teschio di cristallo Azteco ma di un manufatto del diciannovesimo secolo forgiato con moderne tecniche.

Ma c’è anche una terza generazione di teschi di cristallo datati intorno al 1930. Fu inaugurata da Sidney Burney un mercante di arte che acquistò un teschio simile a quello del British Museum, ma con la mandibola separata. Fu lui a venderlo a Frederick Michell-Hedges, avventuriero e autore di storie fantastiche, che gli diede il nome di “skull of doom”. Il teschio fu ereditato da sua figlia Anne che disse di averlo rinvenuto nel sito di Lubaantum, una storia che però è rimasta priva di fondamento fino alla sua morte avvenuta l’anno scorso all’età di 100 anni. La Walsh riferisce di aveve avuto uno scambio di corrispondenza con Anne proprio quando si trovava a Lubaantum nel 1970. La donna le chiedeva come mai non facesse menzione del suo teschio nei suoi studi. Ma la Walsh di nuovo ribadisce che questo teschio, così come quello conservato al British Museums, è troppo perfetto per essere un autentico reperto archeologico. Dunque quello che rimane è la letteratura-culto che il teschio dei Mitchell-Edges ha alimentato e che ha probabilmente ispirato l’ultimo film di Indiana Jones.

Rimane un ultimo dubbio. Dove Boban abbia preso pezzi perfetti di cristallo per forgiare il suo teschio. C’è chi dice in Brasile, chi in California, chi in Cina. Presto anche questo dubbio verrà fugato grazie alla spettroscopia Raman, un tipo di tecnica non invasiva che consentirà di avere informazioni sull’oggetto senza doverne prelevare campioni. Ma per non frenare l’entusiasmo degli affezionati della saga di Indiana Jones, diremo loro che l’unica certezza del film è proprio lui, Indy. In pochi infatti sanno che il suo personaggio si ispira a un paleontologo americano: Roy Chapman Andrews. Nel 1920 guidò un’esplorazione che fece epoca. Chiamato dall’American Museum of Natural History di New York perché guidasse la prima delle tre grandi spedizioni effettuate in quegli anni nel vasto deserto del Gobi – allo scopo di dimostrare le origini asiatiche dell’uomo – ci riuscì in pieno.


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