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Fao: chiuso il summit delle promesse mancate
di
ANGELO M. D'ADDESIO

[09 giu 08] E’ finito così com’era cominciato il summit Fao che si è svolto a Roma dal 3 al 5 giugno: prospettive pessimistiche, promesse e richieste di donazioni, solite diatribe sugli eccessi della liberalizzazione incontrollata e del neo-protezionismo nazionalista e l’invito alla speranza che non è diventato (e forse non diventerà) diritto al cibo. Nel pomeriggio del 5 giugno, prima che il summit si chiudesse ufficialmente con tre ore di ritardo per disaccordi sulla relazione finale, il ministro Frattini già segnalava “una delusione rispetto alle premesse”. Diouf ha poi ostentato ottimismo, dopo aver concertato una dichiarazione finale difficile, confermando l’impegno della Fao a lavorare per il futuro. Il futuro è la comoda scorciatoia per un presente che parla soltanto di “una cassa di aiuti” per lo sviluppo e la produzione agricola, che rischiano di non avere un serio coordinamento. In tutto sono stati raccolti 8.095 miliardi di dollari, con Usa e Francia capofila, rispettivamente con 1,5 ed 1 miliardo ciascuno, poi Banca per lo sviluppo Islamico (1,5 miliardi), Banca Mondiale (1,2), Spagna (773 milioni), Regno Unito (590 milioni) e via via gli altri. Tutti citati tranne l’Italia, che pure ha previsto 180 milioni solo nel 2008, sebbene non li abbia dichiarati formalmente in sede Fao, come hanno fatto gli altri Paesi, che li hanno anche diluiti prudentemente in più anni.

Le tasche sono piene, ma i punti incompiuti pregiudicano l’attuazione di un serio programma. Sui biocarburanti Brasile ed Usa hanno fatto fronte comune ed hanno ottenuto anche l’appoggio influente di Hafez Ghanem, direttore generale aggiunto della Fao, e di Josette Sheran, direttore del World Food Programme, per i quali “i biocombustibili influiscono solo per il 5 per cento nella crisi alimentare”. Tutto come prima dunque. Le Ong hanno bocciato la relazione e chiesto una pronta riforma dell’istituzione. La parola d’ordine è stata “emergenza” e per questo motivo sono stati stanziati 1,7 miliardi immediati per investimenti, infrastrutture, sostegni alle proprietà agricole regionali e locali, ma di programmazione su prezzi e commercio di prodotti agricoli, neppure a parlarne. Brasile, Cuba ed Argentina hanno snobbato la dichiarazione finale e le raccomandazioni a non limitare le esportazioni o ad introdurre barriere e dazi. Sulla stessa linea l’intero Sud America. Da una parte il protezionismo dei nuovi ricchi, dall’altro la liberalizzazione incontrollata, ma per tale problema tutto è rinviato all’Organizzazione mondiale del commercio con la conclusione del Doha Round. Peccato che di questo si parli da sei anni (nel 2001 è iniziata la sessione di accordi a Doha) e nel frattempo, mentre la produzione è comunque aumentata, i prezzi di grano, riso e soia saliranno ancora del 56 per cento e le multinazionali rimpingueranno i loro fatturati, visto che gran parte di queste materie prime sono solo parzialmente inserite nel mercato e nella produzione fruibile, altri risultano invece futures. Gli investimenti in borsa di privati ammontano a 175 miliardi di dollari solo nel 2007, con buona pace di speculatori e grandi imprese agricole come Cargill, General Mills, Monsanto e delle grandi borse che trattano gli alimenti alla stregua del petrolio stesso.

Nel summit Fao nulla di deciso anche sull’emergenza clima e nessuna voce alle vive proteste dell’Africa, soprattutto di Paesi come Congo, Zambia e Senegal, che hanno protestato per la superficialità della questione agricola, ridotta solo ad un finanziamento a fondo perduto per agenzie e Paesi più poveri. Dal summit esce ridimensionata l’istituzione, da cui hanno preso le distanze anche Ifad ed Wfp (la portavoce italiana ha respinto le accuse di inefficienza e burocratizzazione dell’agenzia Pam Italia, rinviando alle difficoltà dei singoli Paesi). L’unica nota positiva dell’incontro di quest’anno è il progetto “Rivoluzione Verde”, che ha visto tre agenzie (Fao, Ifad e Pam) firmare un documento di unità di intenti, per dedicare fondi e strutture unicamente ai piccoli coltivatori in loco e con la supervisione di Kofi Annan, e perfino le aperture schiette dell’Italia a nucleare ed Ogm. Tutte le strutture passano per i prezzi del petrolio, per una seria previsione di progetti concreti sul piano macroeconomico, e proprio in questo il summit è stato un fallimento. Tutti concordi: da Jean Zigler, influente relatore Onu sul diritto all'alimentazione, ai governi nazionali, alle Ong. Come si potrà, ora, dare torto alle imbarazzanti sparate di Mugabe ed Ahmadinejad?


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