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Gay Pride, il Comune di Roma incontra i movimenti
di ROBERTA TATAFIORE

[06 giu 08] Prova di sessuo-politica libertaria bipartisan? Non esageriamo. Inciucio tra furbo assessore di comune di destra e scaltri omo-lesbo-trans di sinistra? Non denigriamo. E’ però stravagante il fatto che il 4 giugno, al Campidoglio (quindi nella Roma di Alemanno) si sia tenuto un convegno organizzato dal DI’Gay Project e patrocinato dagli assessorati alla cultura del Comune e della Provincia dal titolo “Quale gay pride made in Italy?”. Già, perché l’Italia fa sempre caso a parte. Più o meno in tutte le capitali europee e nelle metropoli oltreoceano, di questi tempi, si tengono le parate dell’orgoglio omosessuale, feste trans e trasg che oltrepassano i sessi genetici e celebrano i corpi e gli amori delle e degli uguali-diversi. Colà, però, la politica non se ne interessa avendo già fatto ciò che è in suo potere: matrimoni assicurati a persone dello stesso sesso, in alcuni casi anche possibilità di adottare o avere bambini, “patti di solidarietà” o altri marchingegni giuridici. Colà si è così eliminato il problema dei patrocini delle autorità, dei permessi prefettizi per il percorso dei cortei, delle querelle tra sinistra e destra. A due giorni dal pride romano, invece, è tutta una fibrillazione. A piazza San Giovanni il corteo non può finire perché nella basilica si tiene un concerto di musica sacra e il diavolo non sta bene con l’acqua santa. Però c’è il permesso per piazza del Popolo che è bella grande. Accettare, non accettare… C’è da augurarsi che alla fine tutto vada per il meglio, per Roma e per i suoi cittadini omo-lesbo-trans. Intanto il convegno è stato un successo.

Prima di tutto perché l’assessore alla cultura Umberto Croppi è un santo, senza nulla togliere a altre terrigne virtù che certamente possiede. Oratore, mediatore e incassatore di stile, nonché ospite istituzionale che è arrivato con ritardo contenuto, non si è mosso più dalla sedia e ha detto quello che pensa schiettamente. A lui l’idea del “movimento” degli uguali-diversi non piace: ce ne sono tanti altri, probabilmente la maggioranza, che non sono organizzati e non si sentono rappresentati da nulla. Drop out o ben inseriti, ricchi o poveri, sono cittadini dei cui interessi la politica si deve occupare, ma non sotto la pressione della minoranza organizzata. Bel colpo. Poi - tirato dentro dalla moderatrice della serata, Maria Giovanna Maglie (una di quelle che vorrebbe liberalismo e diritti civili andare insieme) - sulla questione della regolazione giuridica delle coppie omo, ha risposto che lui piuttosto delle unioni di fatto, preferirebbe una rielaborazione culturale e legale del concetto di famiglia. Caspita! Poi: è vero che il parterre e la platea non erano tali da muovergli attacchi. E però lui non ha fatto una piega quando Imma Battaglia, presidente del DI’Gay project e Paola Concia, deputata Pd (praticamente La Lesbica del Parlamento), tra il latte e il miele dei reciproci riconoscimenti, gli hanno detto a chiare lettere che il movimento vuole qualcosa subito: per lo meno il registro in Comune delle coppie omosessuali, e che non rinunceranno certo alla battaglia.

Si, la battaglia: i diritti si ottengono con la battaglia. E’ la fisiologia delle democrazie che lo vuole, la prassi istituzionale che lo pretende. La cronista non è entusiasta dell’angustia democratica che sacralizza i diritti producendo non pochi effetti collaterali: il moltiplicarsi dei medesimi e delle regolazioni conseguenti, vere e proprie ragnatele di senso che appiattiscono gli individui in “categorie” da proteggere e che come tali chiedono tutele e sostegno. Tanto meno le piace quella vocazione intrinseca nei movimenti a incanalare la libertà che sprigionano o nell’opposizione cieca alle istituzioni o nella richiesta ansiogena di riconoscimento. Ma tant’è: la storia del movimento gay è un case study di entrambe le tendenze, che però hanno portato al successo. In tutti gli interventi dei diretti interessati al dialogo anche con la destra, è stato detto che è l’esistenza del movimento a aver sdoganato lui e lui o lei e lei dagli amori sofferti perché clandestini, a rappresentare il baluardo contro l’omofobia e il presidio per la salute e l’accoglienza di coloro possono patire la propria vocazione fino a togliersi la vita. Insomma, con buona pace dell’assessore Croppi, del movimento non si può fare a meno. E il movimento, in punta di politica, ha rivendicato, nel convegno, un galateo etico e estetico della sua parata che ha già il suo modello, senza bisogno di fabbricarne uno nuovo: unità di obiettivi, libertà e diversità nel rappresentarsi, pluralismo politico. Alla faccia della segreteria nazionale di Arcilesbica che ha espulso la presidente Francesca Grossi per aver accolto, assieme a altri di altre organizzazioni, compreso l’Aricigay, l’invito del Sindaco all’incontro-confronto che ha “aperto le danze”. Sabato, se tutto va bene, si balla in piazza.

Umberto Croppi (Assessore alla Cultura del Comune di Roma); Imma Battaglia (Presidente Dì Gay Project); Paola Concia (Deputata Partito Democratico); Cecilia D’Elia (Assessore alla Cultura della Provincia di Roma); Benedetto Della Vedova (Deputato Popolo della Libertà); Francesca Grossi (Attivista lesbica); Domenico Rizzo (Ricercatore Storia Contemporanea, Università L’Orientale di Napoli); Daniele Scalise (Scrittore e giornalista di “Prima Comunicazione”); Luca Trappolin (Docente Sociologia dei Processi Culturali, Università degli Studi di Padova); Stefano Campagna (giornalista e conduttore del Tg1).

A moderare il dibattito Maria Giovanna Maglie.


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