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Austria e Svizzera, il calcio torna nel cuore d'Europa
di DOMENICO NASO

[06 giu 08] La carovana del pallone fa tappa sulle Alpi. Da domani al 29 giugno, infatti, Austria e Svizzera ospiteranno i Campionati europei di calcio, trasformando il Vecchio Continente in un’immensa curva di stadio. Saranno venti giorni di calcio, ovviamente, ma non solo. Qualsiasi evento sportivo di questa portata comporta anche risvolti economici, sociali, culturali, politici. E per Svizzera e Austria questo è il periodo migliore (o peggiore, dipende dai punti di vista) per mostrarsi al mondo. La piccola e ricca Svizzera, pur essendo sede dei più importanti organismi mondiali dello sport, non ospita una manifestazione sportiva importante addirittura dal 1954, quando i Mondiali di calcio videro l’affermazione della Germania contro la corazzata ungherese di Puskas. Gli svizzeri, si sa, non amano apparire. Preferiscono coordinare, tessere, costruire in silenzio e nell’ombra. Ma l’ormai stantìo cliché dei banchieri, degli orologiai e dei maitres chocolatiers non regge più. La Svizzera di oggi è diversa dalle cartoline alpine e dai luoghi comuni. Nonostante la proverbiale discrezione, la scelta neutrale in tutto e per tutto, la confederazione elvetica non si è potuta sottrarre all’arrembante globalizzazione.

E non parliamo solo di economia, anche perché in quel campo la Svizzera è globale da sempre. Ci riferiamo soprattutto al fenomeno migratorio, allo spostamento di centinaia di migliaia di persone verso quella terra di benessere e ordine che è sempre stata la Svizzera. Ma il piccolo Paese incastonato tra le Alpi non è l’Italia, né la Francia o la Spagna. Non ha storicamente una cultura dell’apertura, non ha avuto forti contaminazioni nel corso della sua storia. La sua conformazione geografica ne ha sempre preservato l’unicità. Almeno fino a quando trasporti e telecomunicazioni non hanno stravolto tutto. E oggi gli svizzeri si trovano a dover fare i conti con una società multietnica difficile da gestire. Soprattutto se consideriamo che la Confederazione ha già dentro di se un insieme di sentimenti regionalisti dettati dalla composizione culturale e linguistica della nazione. Ma proprio in un momento del genere, l’appuntamento con l’Europeo può servire da stimolo. Sociale, culturale ma anche, e soprattutto, economico. Innanzitutto il grande pubblico calcistico scoprirà posti da sogno che di solito non fanno parte delle mete preferite. Paesaggi alpini, piccole città ordinate e pittoresche eppure ricche di fermento culturale. I barbari (se così possiamo amichevolmente definire i tifosi) approdano sulle Alpi. E l’incontro sarà certamente positivo sia per loro che per chi li ospiterà.

L’Austria, invece, attende l’Europeo con ancora maggior frenesia. Forse perché il popolo austriaco è più cosmopolita (è pur esempre erede del grande Impero Austro-Ungarico), forse perché culturalmente l’Austria ha da offrire qualcosa in più, almeno per quanto riguarda i percorsi culturali di massa. Non solo Vienna, comunque. E la cosa potrebbe stupire i giovani tifosi che toccano il suolo austriaco soltanto per visitare la giovane e vitale capitale. Città come Innsbruck, Klagenfurt o Salisburgo forse non dicono nulla alle rumorose carovane pallonare. Eppure sono centri di eccellenza in ambito turistico-culturale. Dei veri e propri paradisi per chi cerca tradizione coniugata alla modernità, alta cultura e sensibilità nei confronti delle ultime tendenze. Salisburgo, ad esempio, è da sempre conosciuta come patria di Mozart e sulla figura del grande compositore ha vissuto per secoli. Eppure la città austriaca è anche molto altro. E i tifosi potranno approfittare del Campionato europeo per scoprirlo. L’Austria è pronta quindi a farsi conoscere, a rilanciare la sua immagine di culla di cultura e tradizione. Con un occhio strizzato anche alle nuove generazioni, perché in fondo a Vienna e dintorni molto è cambiato dall’epoca di Sissi e di Franz.

E’ poi è anche il momento di ripulire un’immagine internazionale recentemente macchiata da due storie di cronaca raccapriccianti che hanno scosso le sonnolenti coscienze del popolo austriaco. Prima la vicenda di Natascha Kampusch, la graziosa ragazza (oggi ventenne) rinchiusa per otto anni dal suo aguzzino. E poi, solo qualche mese fa, la terribile storia di un padre che ha segregato e violentato per ventiquattro anni la figlia, rendendola madre sette volte. Ma l’Austria non solo è questo. E generalizzare dei pur macabri episodi di cronaca non fa bene all’Austria, alla sua secolare storia di tolleranza e contaminazione culturale, di quell’inclusione tipica dell’Impero asburgico, e tantomeno a un’Europa che ha bisogno di un’Austria forte e positiva che faccia da ponte verso l’est, verso quei Paesi emergenti che vedono in Vienna un punto di riferimento per congiungersi definitivamente con l’altra metà d’Europa. Austria e Svizzera, dunque, sono pronte a rafforzare la loro immagine di cuore d’Europa, di crocevia di interessi economici e culturali. Senza dimenticare la leggerezza di un calcio al pallone che anche in questo caso, come sempre, riesce a travalicare i limiti di un terreno di gioco e a contaminare tutto ciò che lo circonda.


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