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Sarkozy e Berlusconi, l'era dei liberalconservatori
di
STEFANO CALICIURI

[04 giu 08] Dopo gli anni del comunismo rivoluzionario e del socialismo radical-chic, è giunta l’epoca del liberalconservatorismo. Nicolas Sarkozy e Silvio Berlusconi, ognuno a proprio modo, sono stati i precursori di una concezione popolar-mediatica della politica. Popolare perché il loro messaggio si rivolge alla gente, massa di cittadini e non di elettori; mediatica perché utilizzano gli strumenti della comunicazione come nessuno aveva mai fatto prima. Sono riusciti, insomma, a trasformare l’immagine della politica del “dover fare” a quella del “poter fare”. Non più un sacrificio, ma una scelta; non potestà ma una volontà. Differenza non da poco, sostanziale in una società che brucia le tappe, premia e distrugge nell’arco di un batter di ciglia.

Da quando è salito all’Eliseo, su Sarkozy si sono spese decine di migliaia di parole, centinaia i saggi che lo vedono protagonista. E quasi tutti cercano di rispondere alla stessa domanda: da dove nasce una così forte popolarità? Analoga questione, ma con protagonista differente, da anni attanaglia anche la sinistra italiana: perché mai gli elettorali continuano a premiare un personaggio come Berlusconi, odiato da almeno metà Paese? La risposta sta proprio lì: per la sinistra Sarkozy e Berlusconi non sono due avversari politici, ma due odiati nemici. Tanto più le accuse diventano gravi e pesanti, personali e confidenziali, tanto più Silvio e Nicolas ne traggono giovamento.

L’Italia e la Francia, anima mediterranea in corpo latino, pur vivendo un periodo di austerità stanno dimostrando nei discorsi dei loro leader di voler risollevare la testa. Il modello statale non può sopravvivere per assistenza, ma con mezzi e forza propria: anche il pubblico, insomma, deve avere la capacità (il coraggio?) di confrontarsi con il mercato, con la concorrenza. Un confronto entro regole chiare ed uguali per tutti: quello che Berlusconi definisce il “capitalismo spiritualizzato” altro non è che il sarkozyano “capitalisme moralisé”. Parole differenti che portano allo stesso concetto di base: allo Stato spetta stabilire le regole e, eventualmente, fornire gli strumenti; al cittadino saperli usare. Come in una gara di atletica, l’obiettivo del governo non è far arrivare i concorrenti tutti insieme al traguardo, ma piuttosto quello di farli partire allineati.

Da più parti si grida allo spauracchio neoliberista. In realtà non è così: il grande passo che i due statisti europei stanno cercando di compiere è di trasformare le rispettive nazioni da Stati provvidenziale a Stati liberali. Il “sarkoberlusconismo”, come è stato felicemente definito in un saggio di Pierre Musso, docente all’università di Rennes 2, propone una rinnovata visione del conservatorismo europeo: l’obiettivo di Sarkozy e Berlusconi è portare a compimento la rivoluzione cominciata con la caduta dei muri e dei regimi sovietici e continuata con la progressiva “de-statalizzazione dello Stato”; contro lo Stato ma allo stesso tempo per lo Stato. Si tratta insomma di una politica conservatrice, “anti” e “neo” al tempo stesso.


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