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Ahmadinejad e Mugabe: attenti a quei due
di DOMENICO NASO

[04 giu 08] A qualcuno interessano le nuove strategie mondiali contro la fame? O il rilancio dell’agricoltura per incrementare la produzione alimentare e sconfiggere la crisi devastante che sta colpendo varie zone del mondo? Sembrerebbe di no, visto che del vertice Fao in corso a Roma si parla quasi esclusivamente per la presenza imbarazzante dei presidenti di Iran e Zimbabwe, Ahmadinejad e Mugabe. Soprattutto il primo ha scatenato la reazione sdegnata di gran parte dell’opinione pubblica e della classe politica del nostro Paese. Si parlava di un incontro tra il leader di Teheran e Berlusconi, e addirittura di un’udienza ufficiale in Vaticano. Voci subito smentite, che hanno fatto crescere ancora di più il clima bipartisan di ostilità nei confronti dell’autoritario presidente dell’antica Persia. Il Riformista, diretto da Antonio Polito, ha organizzato una manifestazione in Campidoglio contro Ahmadinejad e a favore di un Iran libero e democratico, ponendo l’accento sulle minacce nei confronti di Israele (“Sta per sparire dalle carte geografiche”, ha tuonato di nuovo due giorni fa Ahmadinejad), sull’assoluta mancanza di libertà e diritti civili nel Paese mediorientale, sulle discriminazioni e uccisioni di decine di omosessuali. L’appello di Polito ha raccolto molte adesioni che sottolineano una trasversalità forse senza precedenti nel nostro panorama politico. Dal ministro degli Esteri Franco Frattini, al suo omologo-ombra Piero Fassino, dal sindaco di Roma Gianni Alemanno al suo avversario Francesco Rutelli, e poi Pera, Cicchitto, Gasparri, Pollastrini, Della Vedova, Pezzotta, Bernardini, Nirenstein, La Malfa, Boniver, Bianco, Stefania Craxi, Vernetti, Zingaretti, Bonanni. E non potevano ovviamente mancare alcune associazioni omosessuali come GayLib, o organizzazioni e gruppi ebraici come la Comunità di Roma, l’Ucei (Unione comunità ebraiche italiane), i Giovani Ebrei italiani.

Una manifestazione affollata, dunque, che chiede niente più che attenzione nei confronti della dittatura, ormai davvero malcelata, di Teheran. Blocco immediato del nucleare, contrasto della condotta antiisraeliana di Ahmadinejad, impegno affinché l’Iran non influenzi in maniera nefasta la situazione già fragile in Libano, Iraq, Afghanistan e Palestina. Colpisce, e non potrebbe essere altrimenti, l’adesione di Franco Frattini, un ministro degli Esteri che per un attimo dimentica la diplomazia e il realismo per esprimere pieno appoggio ad una iniziativa che lascia poco spazio agli equilibrismi da feluca e alla difesa dei corposi interessi economici. Ma alcuni commentatori, seppur da posizioni diverse tra loro, avrebbero preferito un atteggiamento differente del governo nei confronti del presidente iraniano. E’ il caso, ad esempio, di Alberto Negri (il Sole 24 Ore) e Lucio Caracciolo (la Repubblica). Il primo avrebbe visto di buon occhio un incontro al vertice tra il nostro governo e il presidente iraniano, durante il quale esprimere nettamente e senza distinguo le nostre posizioni critiche nei confronti del suo regime. Negri sottolinea anche il rapporto privilegiato che da sempre esiste tra Italia e Iran e soprattutto l’incredibile volume di affari tra Roma e Teheran. Un rapporto privilegiato che, secondo il commentatore del Sole, avrebbe dovuto convincerci ancora di più della necessità di dialogare. Improntato al realismo più pragmatico è invece l’intervento su Repubblica del direttore di Limes. Caracciolo dice, testualmente, che “la tradizione diplomatica occidentale ci insegna che con il Diavolo si può dialogare. Anzi, si deve quando in gioco ci sono interessi e valori vitali”. Sarà, ma la politica italiana stavolta ha scelto la via della fermezza, senza concedere nulla al galateo diplomatico. Con Ahmadinejad non si parla. Almeno finché il presidente iraniano non smetterà di portare avanti una politica aggressiva e destabilizzante per il Medio Oriente in particolare e per tutto il mondo in generale. E lo hanno voluto ribadire anche gli ebrei romani, che ieri hanno inscenato una estemporanea e pacifica manifestazione nei pressi della sede Fao di Roma. Non mancavano, e questa è una notizia positiva, nemmeno alcuni iraniani dissidenti che vivono in esilio.

Ma la querelle su Ahmadinejad rischia di farci dimenticare un’altra presenza altrettanto scomoda al vertice Fao: quella di Robert Mugabe, padre-padrone di uno Zimbabwe ormai in ginocchio. Le recenti elezioni, svoltesi in un clima di intimidazione e paura, hanno riproposto agli occhi del mondo una situazione che non si può più fare a meno di affrontare. L’assoluta mancanza di democrazia e la disastrosa crisi economica hanno ormai letteralmente annientato il Paese africano. Non si tratta più di agire con tempestività per scongiurare un disastro. Il peggio è già avvenuto. Inflazione a molti zeri, violenze continue, repressione dell’opposizione. Ma solo Gran Bretagna e Australia hanno fino ad oggi preso una posizione chiara e netta nei confronti di Mugabe. Proprio il premier inglese Gordon Brown ha voluto sottolineare come la presenza del dittatore africano al vertice Fao sia “particolarmente incresciosa”, soprattutto se si pensa che proprio Mugabe ha ostacolato in ogni modo gli approvvigionamenti alimentari del suo Paese. Il resto dell’Occidente, loquace più del dovuto quando si parla di Iran, sullo Zimbabwe non va oltre le solite frasi di circostanza. Forse perché l’Iran conta di più (soprattutto economicamente), forse perché l’Africa è ormai uscita dall’agenda delle cancellerie occidentali (con un evidente vantaggio ricavato dall’attivissima azione neocoloniale di Pechino). Fatto sta che lo Zimbabwe, tra una carestia e una repressione, non riesce a catalizzare a dovere l’attenzione del mondo.  La Fao vetrina di dittatori e pericolosi presidenti autoritari, dunque? Sembrerebbe di sì, ma non è la prima volta che succede. Stavolta, però, almeno una consistente parte dell’opinione pubbilca italiana sembra essersi svegliata. Il successo dell’iniziativa del Riformista ne è la prova evidente. Ora tocca ai governi occidentali tradurre questa indignazione in azioni concrete.


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