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Obama a un soffio dalla nomination
di
ALESSANDRO MARRONE

[04 giu 08] Alla fine della stagione di primarie Barack Obama rivendica la nomination democratica: sarà lui il candidato che sfiderà il repubblicano John McCain nelle presidenziali di Novembre. Hillary Clinton è stata sconfitta solo di misura, e ora deve decidere in che modo ritirarsi dal campo di battaglia. Le ultime primarie democratiche hanno visto la vittoria di Obama in Montana e quella di Clinton in South Dakota e Portorico. Le ultime decine di delegati assegnati hanno permesso al senatore di colore di avere la maggioranza assoluta degli eletti con vincolo di mandato, consolidata da un “surge” di superdelegati che in numero significativo hanno espresso nelle ultime ore il loro appoggio alla sua candidatura. Nei giorni scorsi, inoltre, il Comitato nazionale democratico aveva raggiunto un compromesso sull’assegnazione dei delegati di Michigan e Florida, le cui primarie erano state “congelate” dai vertici del partito perché tenutesi in anticipo rispetto al calendario nazionale, completando così la composizione della convention di luglio. Alla fine dei conti, secondo l’ultima stima riportata dal New York Times, Obama può contare sul sostegno di 2.154 membri della convention, tra delegati e superdelegati, appena oltre la maggioranza dei 2.118 richiesti per avere la nomination.

Clinton, al momento in cui si scrive, non si è ancora ufficialmente ritirata. La senatrice di New York nel discorso successivo agli ultimi risultati ha ricordato di aver ottenuto 18 milioni di voti, quanti Obama e forse di più a seconda di come vengono considerati quelli espressi in Michigan e Florida, e di aver vinto in 20 stati tra cui quelli decisivi per la elezioni di novembre (Ohio, Florida, e altri). Tuttavia il suo ritiro è ormai inevitabile, considerato che il vertice del Partito democratico sembra averle definitivamente voltato le spalle: 395 superdelegati si sono schierati con Obama, contro i 280 pronunciatisi in suo favore. Si tratterà ora di vedere come tale ritiro avverrà, poiché ciò influenzerà anche le chance di Obama di essere eletto alla Casa Bianca: c’è, infatti, una larga cintura di Stati americani che parte da dal sud-ovest a forte componente latina (California, Texas, Arizona) e piega poi verso nord-est e il cuore operaio dell’America raccolto attorno ai grandi laghi (Indiana, Ohio, Michigan, Pennsylvania), che ha votato con convinzione Clinton, che deve essere ancora conquistata da Obama. Alcuni commentatori hanno parlato di una vice presidenza alla senatrice di New York per portare a bordo della nave democratica i suoi più accesi sostenitori, ma un’ipotesi del genere desterebbe probabilmente scetticismo in un certo segmento di elettorato moderato-conservatore che vorrebbe vedere almeno un maschio bianco nel ticket presidenziale.

A questi ed altri problemi Obama penserà fin da oggi. Ma ieri sera il senatore dell’Illinois ha potuto finalmente godersi il suo successo, e nel discorso tenuto nello stadio di San Paul strapieno di sostenitori e di bandiere a stelle e strisce, ha affermato con quel pizzico di retorica che non manca mai nei discorsi politici americani che “stasera terminiamo uno storico percorso con l’inizio di un altro percorso che ci porterà verso giorni migliori per l’America”. E non v’è dubbio che la fine di queste primarie sia stato un punto di svolta nella storia degli Stati Uniti, che per la prima volta vedono un uomo di colore candidato da uno dei due grandi partiti politici americani alla carica di presidente. Un laureato ad Harvard che ha ben poco a che fare con i ghetti neri delle città americane ma forse proprio per questo è l’uomo ideale per rappresentare i loro interessi in modo puramente politico, superando cioè lo schema e i limiti della contrapposizione razziale. Un giovane leader appartenente a una generazione formatasi politicamente dopo la fine della Guerra Fredda, che si scontrerà con un candidato repubblicano che le cicatrici della Guerra Fredda le porta invece sul corpo oltre che nell’animo. Una delle tante chiavi di lettura della campagna presidenziale tra Obama e McCain che si sta per aprire potrebbe essere proprio quella generazionale. Aldilà, infatti, delle divergenze (e delle convergenze) politico-programmatiche, anagrafe e mentalità dei due candidati dipingono l’immagine di un padre e di un figlio che discutono di ciò che sia meglio fare per la propria famiglia: la solida esperienza condita da molta giovialità ed energia da un lato, il cambiamento ragionato e pieno di speranza dall’altro. Chiunque dei due vinca a novembre, l’America non perderà di certo.


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