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Belgrado in rivolta, torna l'incubo dei Balcani
di
Domenico Naso

[22 feb 08] Un morto e settanta feriti. Con questo bilancio, si può considerare conclusa la fase di nervoso stallo seguita alla dichiarazione di indipendenza del Kosovo. Centinaia di migliaia di persone, infatti, hanno sfilato per le vie di Belgrado per protestare contro la secessione di Pristina e soprattutto contro l'appoggio internazionale alle ragioni dell'ex regione serba. L'imponente manifestazione si è presto trasformata in una vera e propria rivolta, con alcune centinaia di giovani che si sono accaniti sugli edifici che ospitano le ambasciate di alcuni Paesi che hanno appoggiato la causa kosovara. Si tratta delle sedi diplomatiche di Turchia, Bosnia, Croazia, Belgio, Canada e, ovviamente, Stati Uniti. Proprio l'ambasciata americana è stata oggetto di un vero e proprio assalto. Centinaia di hooligans serbi hanno distrutto porte e finestre dell’edificio con bastoni e spranghe, riuscendo anche ad irrompere all’interno. Il tutto aggravato dall’assoluto disinteresse della polizia, che ha sedato la rivolta in altre zone della città, disinteressandosi della situazione di tensione creatasi intorno all’ambasciata Usa.

Anche questo, ovviamente, è un messaggio che la Serbia ha voluto recapitare a Washington, quasi come ritorsione per l’appoggio incondizionato (ancorché atteso e prevedibile) dato dagli Stati Uniti all’indipendenza del Kosovo. Ma la manifestazione di ieri sera è stata la dimostrazione che la reazione ferma e inamovibile del popolo serbo si sarebbe potuta trasformare da un momento all’altro in guerriglia urbana. Proprio oggi, intanto, è arrivato anche il riconoscimento ufficiale italiano al governo di Pristina. A spiegare la decisione del governo c’ha pensato il ministro degli Esteri Massimo D’Alema: “Manderemo un incaricato d’affari e poi un ambasciatore. L’Italia riconosce il Kosovo. L’Italia non è ostile alla Serbia, ma vuole essere un fattore di equilibrio nei Balcani”. Sono frasi significative, soprattutto se pronunciate da chi nel 1999, in qualità di presidente del Consiglio, partecipò attivamente alla guerra contro Belgrado, innescata proprio dalla terribile situazione in cui viveva la maggioranza albanese del Kosovo. Ma anche all’interno del governo italiano si è levata qualche voce di dissenso: Romano Prodi, infatti, ha precisato che la decisione di riconoscere la sovranità nazionale del Kosovo è stata presa dal consiglio dei ministri a larghissima maggioranza, con la sola eccezione del ministro di Rifondazione Comunista Paolo Ferrero.

La reazione serba al nostro riconoscimento è stata repentina, con il richiamo in patria dell’ambasciatore nel nostro Paese. E non è un caso, forse, che una delle due filiali bancarie assaltate dagli hooligans di Belgrado sia proprio uno sportello dell’UniCredit. L’Italia in questa circostanza sembra aver preso una decisione piuttosto netta. In un primo momento il nostro governo aveva tentato di mediare all’interno dell’Ue tra chi premeva per un riconoscimento immediato e chi invece era fermamente contrario. Quando, però, si è capito che l’accordo non era possibile, Roma ha deciso di adeguarsi all’andazzo da “ordine sparso” venuto fuori dalla riunione di Bruxelles.

Ma se le questioni diplomatiche, seppur fondamentali e indicative del clima di tensione venutosi a creare, interessano forse soltanto agli addetti ai lavori, la rivolta per le vie di Belgrado pone un problema ben più reale ed allarmante: è possibile che la Serbia esploda di nuovo? Si tratta di un quesito fondamentale per il futuro dei Balcani e soprattutto di un Paese che solo da pochi anni era riuscito a cominciare un cammino di democratizzazione. La recente vittoria elettorale dell’europeista e filo-occidentale Tadic, aveva forse illuso molte cancellerie al di qua e al di là dell’Atlantico. Sulla questione del Kosovo non c’è infatti differenza tra le posizioni di Tadic e del premier Kostunica e quelle del temusissimo Nikolic, battuto alle ultime presidenziali ma leader di un agguerritissimo partito nazionalista. Il Kosovo è considerata la culla della civiltà serba per ragioni culturali, storiche e religiose. Nessuno, dalle parti di Belgrado, ha la minima intenzione di cedere di un passo. Eppure l’indipendenza del Kosovo non può essere considerata un gesto illegittimo, un golpe filooccidentale. La storia recente della martoriata regione è lì a mostrare al mondo l’inevitabilità di un passo del genere. Se persino il pur cauto Athisaari aveva previso l’indipendenza come ultimo passo, significa davvero che non c’era altra via d’uscita.

Il mondo occidentale, dunque, non deve rinnegare la scelta di Pristina e tornare sui propri passi. Ha davanti a sé, invece, un compito ben più arduo e difficoltoso: da un lato ammansire Mosca, sempre più decisa a sostenere il fermo no di Belgrado; dall’altro far capire agli stessi serbi che la definitiva stabilità dei Balcani passava inevitabilmente dall’indipendenza del Kosovo. Non sarà un’impresa facile, lo dimostrano i numeri degli scontri di questa notte. Nonostante tutte le evidenti difficoltà la diplomazia si deve attivare immediatamente. Questa doveva e deve essere l’occasione per una pacificazione definitiva della regione, non per la riesplosione di conflitti che già in passato hanno mostrato al mondo tutta la loro terribile ferocia.



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