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La Spagna al voto sotto l'anestesia di Zapatero
di
Enzo reale

[18 feb 08] Con una puntualità invidiabile la Spagna torna alle urne. Quella che di per sé non sarebbe una notizia, lo diventa se paragonata alla situazione italiana dove un governo di legislatura viene salutato come un'eccezione da ricordare negli annali della politica. Il quadro delle forze in campo, inoltre, risulta chiaro anche ai meno esperti: a Madrid il bipartitismo di fatto è una tradizione consolidata, si decide tra socialisti e popolari a livello nazionale con i partiti autonomisti a giocare la parte dei guastafeste o degli alleati indispensabili a seconda dei casi. Ma l'entusiasmo finisce qui. Se dalla forma passiamo ai contenuti, la nuova Spagna plasmata dallo zapaterismo vive oggi la sua epoca più nervosa dal ritorno della democrazia. Dagli attentati di Madrid con conseguente defenestrazione del Partito popolare dalle stanze della Moncloa, il Paese è stato testimone e vittima di un negoziato fallito con una banda terrorista, di una presunta rivoluzione morale con annesso conflitto permanente tra opposti settori della società, di una progressiva e inesorabile perdita di rilevanza sullo scenario internazionale, di una diffusa sensazione di insicurezza di fronte ai fenomeni dell'immigrazione dai Paesi africani e della proliferazione dell'islamismo radicale. "Finché regge l'economia", si dirà. Ma ecco, anche quella comincia a traballare.

In campagna elettorale ha prevalso finora una certa ritrosia nell'affrontare i temi più rilevanti per il futuro del Paese. I candidati hanno preferito rincorrersi a colpi di promesse trascurando quelli che dovrebbero essere, invece, i principali temi del dibattito politico. Sul dialogo con i terroristi Zapatero ha scommesso tutta la propria credibilità e ha fallito senza attenuanti. Un’intera legislatura passata ad inseguire il miraggio di una soluzione negoziata al “conflitto basco”, sacrificando lo Stato di diritto sull'altare dell’ennesima tregua-farsa per ritrovarsi con un pugno di mosche in mano. Il governo Zapatero ha creato e coltivato un abbaglio collettivo dimostrando che le istituzioni possono essere ricattate e manipolate a piacimento da un gruppo di assassini. Intanto i terroristi prendevano tempo e si riorganizzavano, mentre ai familiari delle vittime il governo riservava solo ostilità: “marionette del Partito popolare”, recitava il mantra del progressismo illuminato. Poi Eta manda all’aria il tavolo e Zapatero compie un giro di 180 gradi cominciando a fare ciò che aveva giudicato controproducente fino al giorno prima: lo Stato riprende a perseguire gli ex “uomini di pace”, che vengono finalmente arrestati ed incriminati, mentre dal governo parte l’iter per l’illegalizzazione di Azione Nazionalista Basca e Partito Comunista delle Terre Basche. Troppo tardi in ogni caso perché i loro uomini si sono già saldamente insediati nelle istituzioni autonomiche. Zapatero capovolge la sua politica con un opportunismo degno di miglior causa senza mai riconoscere gli errori commessi. Basterebbe questo per giustificare la sua sconfitta senza appello il prossimo 9 di marzo se solo in Spagna esistessero una stampa critica e un’opinione pubblica vigile. Non dandosi queste condizioni, i socialisti la faranno franca come se nulla fosse accaduto.

In economia a Zapatero va riconosciuto un merito, non di azione ma di omissione: aver saputo amministrare, senza metterci mano, un'eredità invidiabile. Sull'onda dei successi dell'era Aznar, Zapatero, interventista in ogni settore, si è tenuto al margine di quello che gli risulta meno congeniale, affidando a Pedro Solbes i pieni poteri in materia. Lo scivolone c'è stato per la verità e ha riguardato il gigante dell'elettricità Endesa con l'opa catalana, fortemente voluta dai socialisti, poi risoltasi a favore di Enel e a scapito della tedesca E.ON con buona pace del libero mercato. L'economia ha fatto irruzione prepotentemente nel pre-campagna con i primi segnali seri di crisi da un decennio a questa parte: il rallentamento del settore immobiliare sta provocando una reazione a catena negli altri ambiti, l'indice di disoccupazione ha ripreso a crescere e i consumi cominciano a calare. Il governo, come nel suo stile, minimizza ma la sensazione è che l'epoca delle vacche grasse stia per finire.

Il governo socialista ce l'ha messa tutta per alzare il livello dello scontro con le istituzioni religiose e in particolare con la conferenza episcopale. Fu il segretario organizzativo del Psoe, l'ineffabile Pepe Blanco, a sciogliere fin da subito ogni dubbio sulle reali intenzioni del nuovo esecutivo quando definì le posizioni della Chiesa come "casposas", letteralmente "piene di forfora", metaforicamente "vecchie e stantíe". Poi la legge sui matrimoni omosessuali, gli attacchi mirati al concetto di famiglia tradizionale, le minacce di rivedere gli accordi Stato-Chiesa ripetute anche recentemente dopo la netta presa di posizione dei vescovi contro la riconferma dell'esecutivo Zapatero. In tutto questo il Partito Popolare ha in un primo tempo cavalcato l'onda del risentimento anti-laicista per poi attestarsi su posizioni difensive, più per paura di essere tacciato come reazionario che per reale convinzione. Rajoy è un moderato e le recenti dichiarazioni favorevoli al mantenimento della legge sul matrimonio omosessuale sono una mossa sensata. Ma il tentativo di dipingere i popolari come portatori di un tradizionalismo fuori tempo massimo è riuscito perfettamente alla sinistra; l'opposizione, al contrario, non ha saputo approfittare delle divisioni presenti all'interno del socialismo sul conflitto ad oltranza con la Chiesa: molti votanti del Psoe sono pur sempre cattolici.

In politica estera, il primo atto della presidenza Zapatero fu il ritiro precipitoso delle truppe dall'Iraq, decretato con la solennità dei principianti in diretta televisiva. Un inizio coerente con il riposizionamento che avrebbe poi caratterizzato la diplomazia spagnola nei seguenti quattro anni: distanziametto netto dalle posizioni atlantiche e terzomondismo radical-chic distribuito a piene mani. I cordiali rapporti con Chávez si sono interrotti solo dopo l'intemerata anti-Juan Carlos al vertice ibero-americano mentre quello con l'Avana e Bogotà resta un asse privilegiato nella proiezione latinoamericana della Moncloa. Ma il contributo per cui Zapatero sarà ricordato negli anni a venire sulla scena internazionale è certamente l'Alleanza di Civiltà, ovvero l'idea più inutile mai prodotta da un governo nell'ultimo secolo. Nata per fingere che l'esecutivo di Madrid abbia una linea di politica estera che non si limiti al semplice capovolgimento delle alleanze dell'era Aznar, è diventata in pochissimo tempo la fiera delle vanità e delle vacuità della diplomazia mondiale, la summa del peace and love in formato transnazionale. Dove la politica non esiste, subentra una ideologia culturale dai contorni indefiniti, buona per tutte le stagioni del disimpegno. Secondo le teste d'uovo del presidente è la risposta allo scontro di civiltà perseguito dagli americani. In realtà si è rivelata una sponda per i regimi illiberali di mezzo mondo, ancora una volta pronti a salire sulle ali della colomba della pace per gentile concessione del velleitario di turno.

Sul fronte dell'immigrazione, in Italia si è persino scritto che Zapatero era sul punto di espellere 800mila immigrati e che aveva dato ordine di sparare sui clandestini che attraversavano la frontiera a Ceuta e Melilla. La realtà ovviamente è diversa. Fu proprio una regolarizzazione di massa ad inaugurare il nuovo corso del governo socialista sull'immigrazione. Il ministro Caldera sostenne che i popolari lasciarono in dote 700mila stranieri senza documenti e che qualcosa andava fatto. Non aveva tutti i torti ma non è la legalizzazione in sé a costituire un problema. Piuttosto il punto debole della politica socialista è la mancanza di un piano a medio e lungo termine sulla gestione dei flussi migratori. Dall'Africa subsahariana gli arrivi si sono succeduti con impressionante regolarità negli ultimi anni e spesso i malcapitati sono giunti sulle coste della penisola in condizioni di deterioramento fisico e psicologico intollerabili. La sinistra, in Spagna come altrove, non ha un piano sul''immigrazione da presentare ai cittadini. Non a caso Zapatero appare in difficoltà quando il suo sfidante propone un contratto formale da far sottoscrivere ai nuovi arrivati, con indicazione di diritti e doveri: una misura populista ma di sicura presa sul pubblico.

Quando si parla di terrorismo islamico le considerazioni sono necessariamente simili. La recente scoperta di una cellula manovrata dal Pakistan pronta a compiere attentati nella metropolitana di Barcellona ha creato sconcerto all'interno di una società cui è stato fatto credere di essersi guadagnata una sorta di immunità con il ritiro dall'Iraq. Il problema terrorismo è stato semplicemente accantonato da un governo nato sui cadaveri ancora caldi dei morti di Atocha, quasi ad esorcizzarne il rischio. Il processo per la strage di Madrid si è concluso con una serie di condanne per personaggi secondari ma senza l'identificazione di un mandante certo. A Zapatero la verità non è mai sembrata interessare più di tanto: la parola d'ordine è sempre stata "voltare pagina". Invece di mettere in rilievo i peccati di omissione dell'esecutivo, il Partito Popolare ha preferito incaponirsi su battaglie di retroguardia, come quella sul presunto coinvolgimento di Eta nel massacro. Una tesi mai espressamente formulata se non nell'immediatezza dell'attentato ma sempre presente sullo sfondo di ogni accusa. Un'occasione sprecata per mettere in risalto l'incapacità della sinistra di governo di comprendere la minaccia e l'impreparazione nell'affrontarla. Un problema di elaborazione e di comunicazione che ancora una volta rischia di costare molto caro a Mariano Rajoy.



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