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da Ideazione settembre-ottobre 2000
Quello che l'Italia si aspetta

di SILVIO BERLUSCONI

[21 apr 08] L'Italia finisce il vecchio millennio con dieci anni di progressivo declino ed inizia il nuovo millennio con un anno sprecato: con l’anno di Amato. L’Italia ha bisogno di nuove strade, ma ci sono i Verdi che le bloccano. L’Italia ha bisogno di libertà nei contratti di lavoro, ma c’è il “no” della Cgil. L’Italia ha bisogno di un fisco più moderato, ma il sistema fiscale inventato da Visco sottrae all’economia privata quantità crescenti di ricchezza. L’Italia ha bisogno di sicurezza, ma il governo della sinistra è incapace di garantirla.

Mai come ora l’alternativa che si apre davanti al Paese è tra declino e sviluppo, tra followship e leadership politica. L’Italia non ha una leadership ma una followship politica: il tirare a campare di Amato. Un professionista della politica e del potere senza progetto, senza partito e senza futuro. Perché dopo Amato verrà ancora un postcomunista, esattamente come dopo Prodi è venuto D’Alema. Che a sua volta non ha un futuro ma solo un passato, da cui non è uscito e non può uscire. Il governo D’Alema è stato indeciso a tutto, inerte su tutto. Tranne che sull’intervento in Kosovo che è stato comunque possibile solo grazie ai nostri voti.

È il Paese che paga l’assenza di leadership. Negli anni Novanta la crescita della produttività è stata pari al 3,7 per cento in Francia, al 3 per cento in Germania, al 3,4 per cento negli Usa, inferiore al 2 per cento in Italia. La ripresa mondiale è forte, ma l’Italia resta strutturalmente debole e viene per questa ragione progressivamente spiazzata nella competizione mondiale. In cinque anni la nostra quota del commercio mondiale è passata dal 5 al 4 per cento. Il tasso di crescita della produttività resterà dunque basso perché mancano un chiaro progetto di sviluppo ed una leadership politica capace di realizzarlo.

In Europa e nel mondo non è così. Nei paesi che sono nostri partners ma anche nostri competitors sono attive leadership politiche forti, legittimate dal voto, che guidano i loro paesi nella logica di un progetto di sviluppo. Nei mesi scorsi, il cancelliere tedesco Schröder ha fatto la scelta storica di tagliare il circuito banca-industria, aprendo l’economia tedesca al mercato dei capitali. Noi abbiamo ancora la legge Amato sulle fondazioni bancarie. Gli Usa sono ancora in pieno boom, l’Asia è risanata, l’euro è svalutato. Ci sono le condizioni ideali per rilanciare l’economia italiana con una nuova leadership politica.

Un programma con precisi disegni di legge. Noi abbiamo un progetto. Lo stiamo finalizzando per presentarlo al Paese e per realizzarlo sulla base di un’ampia, diretta e chiara legittimazione di voto popolare. Per la prima volta nella politica italiana, il programma elettorale coinciderà con il programma di governo. E per la prima volta il programma di governo non sarà una serie confusa di frasi e tesi, ma una serie definita e precisa di disegni di legge che ci impegnamo a realizzare sulla base di una “agenda” politica scadenzata sull’asse del tempo. Nella nostra logica, che è la logica occidentale, governare è definire un ordine di priorità. Il nostro disegno si articola sostanzialmente in due fasi: una prima fase per trasmettere all’economia un messaggio positivo di sviluppo; una seconda fase, a regime, per riformare, su questa base, l’economia del Paese e gli apparati dello Stato.

Nella prima fase le nostre priorità sono quattro: “legge-obiettivo”, “nuova legge Tremonti”, contratto di lavoro libero, eliminazione della tassa sulle successioni e donazioni. La “legge-obiettivo” si basa su di un meccanismo molto semplice: ogni anno in legge finanziaria si definiscono le grandi opere, le infrastrutture, gli insediamenti industriali “strategici”. Gli interventi così definiti sono per legge conformi a legge, saltando la palude burocratica fatta da concessioni, permessi, autorizzazioni, delibere politiche. Da sempre la grande architettura è politica e la grande politica è architettura. Non è un caso che in Italia da decenni non si facciano opere pubbliche significative. La causa è nel fatto che la macchina politico-burocratica blocca tutto. La Fenice di Venezia fu iniziata nel 1790 e terminata nel 1792. È bruciata nel 1996 ed è ancora sotto un tendone. Nel nostro progetto le nuove opere si costruiscono nella logica del project financing con l’apporto decisivo dei privati e dunque con un costo erariale marginale. Non è un caso che la nostra proposta sia stata appena bocciata da questo Parlamento. Ma la ripresenteremo e la approveremo nel prossimo.

La nuova legge Tremonti riprodurrà i contenuti positivi della prima. Il nuovo contratto di lavoro libero, messo sullo stesso piano del vecchio contratto di lavoro subordinato, è poi la nostra proposta “rivoluzionaria”. Il problema non è infatti quello di penalizzare i vecchi ma di garantire un futuro ai giovani. E per noi la soluzione non è tanto nella libertà di licenziare quanto nella libertà di assumere. L’attuale tassa di successione e donazione penalizza fortemente l’economia italiana che è fatta soprattutto dalle piccole imprese e dipende perciò fortemente dal ciclo vitale dell’imprenditore: è una tassa che distrugge elementi essenziali della nostra filiera produttiva. E perciò va abolita.

Per quanto riguarda la fase due, il nostro progetto è quello di mettere a regime tre grandi riforme: la riforma fiscale, la riforma previdenziale e la riorganizzazione ab imis di tutti i comparti dello Stato, dalla pubblica amministrazione, alla scuola, alla sanità, alla sicurezza. Il sistema fiscale italiano “riformato da Visco” non funziona, basta confrontarlo con quello tedesco per rendersene conto. La riforma fiscale tedesca prevede riduzioni ex ante ed è scritta in chiaro. Il sistema Visco funziona ex post ed è talmente complesso da richiedere un software per capirlo. Un conto è una riduzione programmata ex ante che produce nell’economia un chiaro effetto fiducia. Un conto sono le “restituzioni” alla Visco fatte ex post, in modo casuale, discrezionale e parziale.

La nostra proposta prevede invece solo otto tasse, un unico codice fiscale, due aliquote per le persone fisiche, una sola aliquota per le imprese. Le nostre “cifre”, i nostri riferimenti essenziali di politica fiscale saranno due: “famiglia” e “sviluppo”. La nostra politica economica basata sul libero mercato sarà una politica sociale: mantenere i prezzi stabili e basso il costo del denaro, promuovere in tal modo l’espansione economica e generare occupazione per inserire nell’area del benessere gli oltre sette milioni di italiani che sinora ne sono rimasti esclusi, migliorare la qualità della vita e garantire il futuro dell’assistenza e delle pensioni. È la ricetta liberale della Thatcher e di Reagan, attuata in questi anni da Aznar in Spagna con i risultati che conosciamo.

Per quanto riguarda la riforma previdenziale, la base del nostro intervento si trova nei fondi pensione privati “aperti”, sostenuti dalla leva fiscale. Ci sarà la “verifica” nel 2001. Ma nella nostra visione la vera riforma delle pensioni sono la famiglia e lo sviluppo. Il declino demografico e la crisi pensionistica sono solo rallentati dai flussi migratori. Sui “grandi numeri” serve una grande politica, una visione del futuro. E proprio per questo noi puntiamo, lo ripeto, su famiglia e sviluppo. Le tre ricchezze del Sud. Nel Sud ci sono tre ricchezze che noi chiamiamo le “tre T”: testa, turismo, terra. Capitale umano, la meravigliosa intelligenza mediterranea, un patrimonio paesaggistico ed artistico inestimabile, una agricoltura robusta. Per valorizzarle è necessario superare le distanze: il Sud è remoto. Per questo tra i primi obiettivi della nostra legge sulle infrastrutture ci sono le grandi opere di unificazione del Paese: il raddoppio dell’Autosole Firenze-Roma, per separare il traffico pesante da quello ordinario, la riqualificazione della Roma-Reggio Calabria, il ponte sullo Stretto. Faccio notare che su questa proposta di legge come su quella per gli sgravi fiscali al Sud dopo la mia firma viene la firma dell’onorevole Umberto Bossi.

Abbiamo fiducia nella capacità degli imprenditori meridionali. Il problema non è solo quello di trasferire sussidi al Sud e di rendere conveniente per gli imprenditori del Nord e per gli imprenditori stranieri insediare nuove imprese, ma di consentire al Sud di investire su se stesso e di autocapitalizzarsi. Il federalismo è una chance anche per il Sud. Nell’Ottocento quelle che erano grandi capitali sono state trasformate in semplici prefetture. Il Sud può trovare nella sua storia e nel suo presente le ragioni del suo futuro.

L’immigrazione come problema di legalità. Abbiamo presentato nell’aprile di quest’anno una precisa proposta di legge. Una proposta sostanzialmente coerente nel suo impianto di fondo con la proposta della Fondazione Agnelli. Due ne sono i punti chiave.

Il primo è quello del circuito imprese, famiglie, Regioni, Ministero degli Esteri. La rete consolare italiana, potenziata in organici e mezzi nei paesi di origine dell’immigrazione deve infatti servire da selezione e filtro per formare i ruoli di immigrazione in Italia sulla base della domanda che viene dalle imprese e dalle famiglie ed è filtrata ed organizzata dalle Regioni. Non è un problema di quantità ma di legalità, di collegamento tra immigrazione e lavoro. Con la legge Turco-Napolitano la porta principale è semiaperta, le porte di servizio sono spalancate. Noi vogliamo che la porta principale sia aperta, ma che le porte di servizio siano chiuse.

Il secondo punto è la “frontiera esterna”. Il messaggio “terzomondista” di accoglienza indiscriminata trasmesso dalla sinistra nei paesi di origine della immigrazione è deleterio. Il messaggio da trasmettere deve invece essere che in Italia entra solo chi ha ragionevoli possibilità di lavorare. Sottolineo che, spiazzando la sinistra, noi prevediamo per chi lavora tanto il diritto al ricongiungimento dei familiari quanto il diritto di cittadinanza. Diritti veri e non concessioni discrezionali, come finora. E prevediamo anche deduzioni fiscali per le opere sociali e missionarie nei paesi di origine dell’immigrazione nella logica “aiutiamoli a casa loro”.

Il federalismo e il principio di sussidiarietà. Storicamente il federalismo è un cammino politico che va dal diviso all’unito, dalla periferia al centro. In Italia il problema del federalismo non è quello di trasferire poteri al centro ma l’opposto. Dal Paese viene una sempre più forte reazione ad un eccesso di centralismo. Per questo la parola giusta è devoluzione. Forza Italia è la prima forza politica che ha parlato di devoluzione in Italia e che ha votato nel suo Congresso nazionale una mozione sulla devoluzione. La devoluzione è nello spirito dei tempi e nella meccanica costituzionale. Non solo in Italia. Lo Stato-nazione deve cedere quote di sovranità, tanto verso l’alto – nel nostro caso verso l’Europa – quanto verso il basso – nel nostro caso verso le Regioni. Lo Stato-nazione è infatti troppo piccolo e troppo grosso. Troppo piccolo per gli affari grossi, e per questo in Europa serve l’Europa; troppo grosso per gli affari piccoli, e per questo in Italia servono le Regioni. Sanità, istruzione e formazione, ordine pubblico territoriale, sono servizi pubblici che possono essere prodotti molto più efficacemente dalle Regioni che dallo Stato da solo. La devoluzione è una forma di realizzazione della sussidiarietà. E la sussidiarietà è la forma principale della nostra politica, che parte dalla persona, dalla famiglia, dall’impresa per arrivare allo Stato solo in forma residuale, solo per quei beni pubblici che possono essere prodotti esclusivamente su scala nazionale. In questi termini la devoluzione non è eversione ma all’opposto realizzazione della nostra Costituzione che espressamente prevede l’aggiunta di nuove competenze alle vecchie competenze regionali.

Gli Stati Uniti d’Europa: “dai Trattati ad una Costituzione”. C’è un oggettivo logoramento del profilo internazionale dell’Italia dovuto alla carenza di leadership politica e al conseguente declino economico. Ma Europa ed Italia sono inscindibili: l’Italia è Europa e l’Europa è Italia. Non solo perché l’Italia è Paese fondatore dell’Europa ma perché l’Italia è luogo di formazione di una parte enorme della cultura europea. Nella costruzione costituzionale europea si è chiusa una fase. La fase che va dall’Atto unico alla moneta unica. L’euro è necessario ma non è sufficiente, e l’Europa non può restare ferma. Diventa allora fondamentale aprire una nuova fase. Abbiamo davanti due modelli costituzionali: il modello del super-Stato europeo che azzera gli antichi Stati-nazione; il modello alla Giscard-Delors dell’unione degli Stati uniti d’Europa. Un modello politico che è certo meno del super-Stato, ma molto più dell’assetto attuale.

Stiamo seriamente e non propagandisticamente discutendo la nostra posizione politica verso l’Europa. Prevedo un orientamento di tutta la Casa delle Libertà verso un modello alla Giscard-Delors, un modello che marchi il passaggio “dai Trattati ad una Costituzione”. Un modello nel quale gli Stati-nazione non vengono azzerati ma piuttosto devolvono progressivamente quote di sovranità verso l’alto, all’Europa, e verso il basso, alle Regioni.

La conoscenza come risorsa strategica per la competitività. Secondo i dati Banca Italia, gli investimenti diretti in Italia sono scesi dal 2,5 per cento del Pil, registrato all’inizio degli anni Novanta, allo 0,4 per cento del 1998. Tutto ciò non è per caso, ma pour cause. L’Italia tutto è tranne che un paese business friendly. Le leggi fiscali sono oppressive e confuse, le leggi sostanziali sono paralizzanti. Nel board di una multinazionale le scelte di localizzazione degli investimenti in un paese o nell’altro si fanno ad alta velocità, sulla base della comparazione dei vantaggi offerti dai diversi paesi ed in una logica di concorrenza tra i diversi management. Per spiegare la Spagna o l’Irlanda o la Germania bastano pochi numeri semplici. Per spiegare l’Italia con Dit, superDit, Irap, ci vuole mezz’ora col sussidio di un apposito software. Quando poi i concorrenti spiegano che in Italia i manager sono ritenuti personalmente responsabili per eventuali presunte violazioni della legge fiscale, l’Italia viene sistematicamente spiazzata. E poi non è solo questione di fisco e di leggi, ma anche di costo del lavoro, di infrastrutture carenti, di una giustizia civile che non funziona, questione di education, di investimento in capitale umano. La politica di formazione praticata in Italia, dai governi della sinistra, è basata solo su una logica estemporanea, clientelare ed elettorale. Pochi soldi per corsi finti. La nostra proposta contenuta nel disegno sulla new economy prevede investimenti sistematici nelle “3 I” di inglese, impresa e informatica. In questa logica è fondamentale l’utilizzo per la formazione della televisione pubblica. Il sapere, la conoscenza sono la ricchezza strategica, una ricchezza che deve essere diffusa fuori dalla logica del privilegio. Alcuni l’inglese, l’impresa, l’informatica la imparano in casa. E gli altri?

La nuova economia è una frontiera di libertà individuale. Non credo, per concludere, che esista un confine marcato tra  “vecchia” e “nuova” economia. È piuttosto un continuum, un circuito al cui interno si produce su scala progressiva nuova ricchezza. Per la prima volta nella storia i beni non sono un numerus clausus. I nuovi beni sono creabili su scala illimitata all’interno di un circuito che ci distacca progressivamente dall’economia fisica. Abbiamo presentato una proposta in materia di new economy: detassazione delle plusvalenze realizzate nella logica del venture capital, equiparazione fiscale della editoria elettronica all’editoria tradizionale, portali attraverso cui il lavoro può essere chiesto e offerto senza la mediazione degli uffici di collocamento, possibilità di sottoscrivere il capitale delle società attraverso polizze di assicurazione. Ci sembra una delle proposte più avanzate in Europa. Escludiamo forme di tassazione specifica e di regolamentazione eccessiva per Internet. In generale il mondo della nuova economia è un mondo di libertà, un mondo in cui si realizzano i nostri ideali. Non è il mondo della sinistra che è il vecchio mondo collettivo dello Stato burocratico e della catena di montaggio. Per la prima volta nella storia la sinistra non è più il progresso, perché il progresso non è più collettivo. La frontiera di Internet è una frontiera di libertà individuale e Forza Italia, con la sua storia e con i suoi ideali, è su questa frontiera.

Queste, in estrema sintesi, le nostre soluzioni dei principali problemi del Paese. Se gli italiani ci affideranno la responsabilità di governare, la tradurremo in concreta azione di governo per cambiare lo Stato, per ammodernarlo, per garantire e proteggere la libertà, la sicurezza e il benessere di tutti i cittadini. Governare per noi non è, come per la sinistra, gestione e mantenimento del potere ma è, e sarà, responsabilità ed impegno ad operare per la felicità di tutti.


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