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Bisogna rivedere la politica estera italiana
intervista a FIAMMA NIRENSTEIN di ANGELO M. D'ADDESIO

[11 apr 08] Giornalista battagliera e appassionata, Fiamma Nirenstein oggi è candidata alla Camera in Liguria nelle liste del Pdl. Delusa dalle posizioni dell’ultimo governo, ottusamente filoarabo e troppo debole con il terrorismo, la Nirenstein sottolinea la necessità di rivedere la politica estera italiana, di ribadire la difesa delle nostre organizzazioni sociali e dello Stato di Israele e di rivolgere lo sguardo verso l’Islam moderato. Che c’è, anche se si vede poco. Ma soprattutto, dice la Nirenstein, la politica estera deve ritornare un tema centrale nell’agenda del prossimo governo, perché è un aspetto fondamentale per la difesa dei propri valori. 

Perché in questo momento caotico, una persona atipica ed avulsa dalla politica come lei ha deciso di candidarsi e schierarsi?
Ho accettato una proposta che è venuta da due parti, ovvero da Fini e Berlusconi ed è legata alla mia esperienza personale. Negli ultimi due anni ho visto avvizzire la politica estera italiana, sia per quanto riguarda il pericolo del terrorismo internazionale, sia sul piano della difesa e della comprensione di una società di valori. Politica estera vuol dire anche affinità, un rapporto con una civiltà che vuole difendere le sue radici comuni, la sua storia, le origini comuni, il rispetto per le donne sull’esempio di Israele ed Usa. Vedo invece D’Alema andare a braccetto con Hezbollah, che nel 1982 ha ucciso 200 ragazzi americani e francesi andati in Libano come forza di pace e poi ha compiuto omicidi in tutto il mondo, perfino a Buenos Aires. Non credo che un ministro degli Esteri possa fare scelte del genere e se le fa vuol dire che c’è una confusione politica ed un’incapacità individuale di difendere i nostri interessi. Allora mi sono messa a disposizione per dare un mano alla luce della mia esperienza pluriennale in Medio Oriente.

Berlusconi ha detto che il primo passo in politica estera sarà la visita in Israele in occasione del sessantesimo anniversario della nascita di quella che ha definito “l’unica democrazia del Medio Oriente”. Non si rischia di accendere una miccia ad esplosione in corso?
Assolutamente no. Il conflitto non è solo un fatto locale e questa politica dei rifiuti, come nel caso di Arafat a Camp David è la dimostrazione di uno scontro più ampio, ideologico, fra una forza simile a noi e l’integralismo islamico che nega l’esistenza di Israele sin dai tempi della Guerra Fredda. Sul conflitto territoriale ci sono concrete possibilità di andare avanti, anzi è necessario un atteggiamento che responsabilizzi i palestinesi piuttosto che deresponsabilizzarli. Questo permetterebbe loro di scegliersi una rappresentanza, invece di lasciarsi soggiogare dalla dittatura come è accaduto a. Prima o poi ci vorrà qualcuno che compia delle scelte nette, senza venire a compromessi. E bisogna avere chiaro che leggere la carta di Hamas e trattare con loro significa essere complici di chi da sempre organizza complotti contro la civiltà occidentale. E’ tutto così chiaro.

Siamo impegnati su due fronti, Libano ed Afghanistan, siamo andati via dall’Iraq fra le critiche e restano minacce costanti dall’Iran e dalla Siria. Su questi fronti come dovrebbe muoversi il nuovo governo?
In linea generale il governo italiano deve fare una politica europea, come Sarkozy, come la Merkel, come Gordon Brown, che non rifiutano alleanze oltre oceano ed anzi allargano le loro intese. A Bucarest abbiamo visto che neppure Putin rifiuta più a priori l’idea dello scudo missilistico contro la minaccia nucleare iraniana. Dobbiamo stare al passo con i tempi e non mostrare un lassismo che incoraggia il terrorismo internazionale e chi prepara già missili e testate che potrebbero perfino colpire le capitali europee. Dobbiamo attuare una politica estera comune e cancellare le divisioni e la confusione del passato. Credo che l’Afghanistan sia un punto nevralgico perché Al Qaeda costituisce lì il pericolo più grande e lì secondo molte fonti di intelligence ha la sua base centrale, oltre alla forza talebana. Quanto al Libano, consideriamo che Hezbollah è arrivata a 30mila missili e rappresenta la vera forza terroristica internazionale da frenare. Bisogna indurre l’Onu a cambiare le regole d’ingaggio e l’Italia deve agire con diligenza. In Iraq è evidente che siamo scappati via senza pazienza, né intelligenza, né solidarietà e quindi senza poter godere dei primi vantaggi visibili della caduta di Saddam.

Ha sempre parlato del conflitto israelo-palestinese come di un conflitto da inquadrare in chiave religiosa. Se inseriamo in questo quadro le polemiche per la conversione di Magdi Allam, i vari estremismi, viene da chiederle se crede solo in un Islam radicale o anche in una possibilità di dialogo?
Sono molto affezionato a Magdi Allam come uomo e giornalista e le sue scelte vanno rispettate come ogni altra scelta religiosa, in toto. Sull’esistenza di un Islam moderato, ci credo eccome. Sono stata promotrice, insieme con Anita Friedman e con le fondazioni Magna Charta e Fare Futuro di una grande conferenza con più di duecento dissidenti musulmani. Cos’altro sono i dissidenti torturati e vessati dai regimi islamici? E loro rappresentano solo la punta dell’iceberg di una battaglia molto più grande. Credo che dobbiamo lavorare insieme a loro e se sarò in Parlamento, chiederò che ad ogni visita in Paesi dove vengono imprigionati i dissidenti, si vadano a visitare i medesimi, si promuovano le loro battaglie e se ne chieda la liberazione e la democratizzazione di quei Paesi.

Un altro episodio che l’ha vista alla ribalta è stato quello delle vignette antisemite di Vauro. Lei ha parlato di un diffuso antisemitismo di sinistra. Dobbiamo pensare ad un centrosinistra che abbraccia questa posizione?Non credo che sia una posizione diffusa in tutta la sinistra, però credo che negli ultimi anni, sulla scia storica della Guerra Fredda ed alimentata da un’influenza islamista estrema, si nato un nuovo antisemitismo, che assume la forma della critica ad Israele e agli Israeliti. E’ una posizione ingiusta nei confronti di uno Stato che si difende solamente dai continui attacchi che subisce. Cosa mi fa parlare di l’antisemitismo? Innanzitutto la doppia morale: Israele viene criticato sul terreno dei diritti umani, laddove esistono Paesi come la Cina e la Siria che violano questi diritti in modo molto più libero ed eclatante e senza costrizioni esterne. Poi c’è la teoria del complotto, ovvero Usa ed Israele sarebbero alleati nella battaglia imperialista per la conquista del mondo. Infine c’è “l’accusa del sangue” (ovvero la propaganda antiebraica, basata sul cibarsi del sangue dei bimbi cristiani) che è molto presente nelle Tv libanesi ed arabe, dove si sostiene che gli ebrei uccidono sistematicamente i bimbi palestinesi, usati invece come scudi proprio dai palestinesi stessi. Quanto alle vignette di Vauro, non ho mai detto che è antisemita, ma la sua vignetta è sulla falsa riga di quelle pubblicate sui giornali libanesi e palestinesi dove sono descritta con il fascio e la stella di David. Accusare me, un’ebrea, di essere peggiore del mio peggior nemico! Lo sfido a dimostrare se nella mia vita ci sia un solo episodio riconducibile alle forme assolutistiche e oppressive di cui mi ha accusato con quel simbolo.

Chiudiamo parlando del suo impegno in politica estera. Forse ha predicato un po’ nel deserto, visto che i temi esteri in campagna elettorale sia nel Pd che nel PdL sono stati quasi assenti.
In Italia non si attribuisce un valore alla politica estera perché si crede che i cittadini non la trovino sufficientemente interessante, decisiva per le questioni interne. Nella mia campagna elettorale mi sono sempre più convinta del fatto che la politica estera sia decisiva laddove si combatte per la difesa dei propri valori, quando si combatte contro gli estremismi. E’ chiaro che in uno scenario politico del centrosinistra dove la politica condotta sin d’ora è stata sempre filoaraba ed antioccidentale, l’interesse è scemato.

E lunedì cosa si aspetta?
Mi aspetto un largo consenso. Mi aspetto che gli italiani che hanno sofferto economicamente ed ideologicamente, nella mente e nel portafogli, per questo modo retrogrado di fare politica, vogliano scegliere per un cambiamento fatto con serietà e determinazione.


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