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[12 mar 08]

Kahnemann ceduto alla politica

Daniel Kahneman vinse nel 2002 il Nobel per l’economia, grazie alle sue ricerche sul confine tra psicologia e decisioni economiche. Le edizioni de Il Sole 24 ore hanno recentemente pubblicato una raccolta molto interessante dei suoi lavori in una collana, diretta da Riccardo Viale, che mette insieme contributi su economia e cervello. Cioè sulle motivazioni e le conseguenze dei comportamenti con i quali gli individui agiscono, sia in termini individuali che nelle dinamiche dell’azione collettiva. Nell’ultimo articolo del volume, Kahneman espone una serie di considerazioni sulle modalità, da lui sperimentate, da utilizzare nei gruppi di lavoro che producono conoscenza, nei processi produttivi interni al mondo della ricerca scientifica. Ne emerge un modello interessante: quello delle “collaborazioni avversarie”. Kahneman descrive come abbia progressivamente individuato questa tipologia di cooperazione tra avversari: “Una delle lezioni apprese nella mia lunga carriera è che le polemiche non sono altro che una perdita di tempo ed energie. Sono orgoglioso di poter dire che non c’è un solo brano nella mia bibliografia scritto per attaccare il lavoro altrui. Fare scienza con rabbia è un lavoro umiliante. Non essendo verosimile che gli “avversari” raggiungano un completo accordo, il più delle volte produrranno un’insolita classe di pubblicazioni congiunte, in cui una parte dell’articolo, scritto a più mani, espone i punti di dissenso tra gli autori La mia speranza è che queste diventino con il tempo un modello di comportamento: l’istituzione di simili procedure contribuirebbe a creare uno spirito di lavoro più vicino all’ideale di scienza come prodotto sociale collettivo”.

Dunque, essendo la conoscenza il prodotto della scienza, sembrerebbe che un processo contraddittorio, che evidenzi le differenze, che rimangono, e le convergenze possibili, rappresenti per gli “avversari” un beneficio comune, un vantaggio per entrambi. Confermando come i beni pubblici, come la conoscenza, siano tali non perché prodotti dal governo e dalle pretese superiori capacità cognitive della sua maggioranza rispetto a quelle dell’opposizione, ma perché fondati piuttosto sulla cooperazione e la condivisione, che non sul conflitto e la competizione, tra tutti coloro che concorrono nel processo. Le conclusioni di Kahneman hanno un carattere generale, non per niente sono il risultato di uno scienziato premiato dalla attribuzione del Nobel. Ma esse ci possono aiutare a risolvere un dilemma particolare, acutamente proposto da Luigi Spaventa su La Repubblica del 9 marzo 2008. Egli si chiede se sia praticabile l’ipotesi, avanzata da Mario Monti verso i partecipanti alla imminente competizione elettorale, di costruire una agenda super partisan, prima delle elezioni, capace di offrire soluzioni di governo condivise che, chiunque dovesse vincere, applicherebbe, mentre l’altra parte, soccombente, si impegnerebbe comunque a non ostacolarle. Spaventa si mostra scettico sul fatto che l’ipotesi abbia “le gambe per camminare in questa valle di lacrime”. E, per evitare che questa eventuale agenda comune rischi di “scolorarsi in una generosa illusione”, suggerisce di ripiegare su un funzionamento efficiente delle istituzioni: per fare emergere soluzioni condivise dal confronto parlamentare.

A ben vedere, le tesi di Kahneman supportano l’ipotesi di Spaventa. I parlamenti sono macchine per produrre quelle soluzioni che Kahneman si aspetta dalla procedura della collaborazione avversaria. O meglio, sono stati pensati e creati in questa chiave dalla cultura liberale. Che rappresenta coloro che abbiano idee diverse dalle nostre non come nemici da sopraffare, ma come interlocutori che ci aiutano a trovare le verità che non avevamo compreso. E che sopportano, essendo minoranza, le nostre ragioni, purché esposte nel manifesto intento di perseguire finalità di interesse collettivo, nella speranza di diventare, in un momento successivo, maggioranza. E nella consapevolezza di poter anche, successivamente, recedere verso una condizione di minoranza. Rimanendo sempre, maggioranza e minoranza politica, forze legittime, indipendentemente dalla propria condizione contingente in sede parlamentare. Il Parlamento, insomma, dovrebbe essere una macchina per produrre un bene pubblico, la capacità di governo, che è il risultato di un test di collaborazione avversaria e di una applicazione prudente di quei risultati ai processi operativi gestiti dalla pubblica amministrazione. E’ comprensibile che la competizione elettorale ecciti la ricerca del consenso attraverso la retorica della propria differenza rispetto all’altro. Ma è opportuno evitare che questa contrapposizione superi una soglia di sicurezza. Quella che impedirebbe, dopo poche settimane e per alcuni anni (la durata del mandato parlamentare), l’esercizio della collaborazione avversaria. La concentrazione in due grandi organizzazioni politiche della eccessiva frantumazione della Seconda Repubblica è una condizione necessaria perché queste dinamiche si manifestino nella loro dimensione virtuosa. Ma è altrettanto necessario che, da entrambe le parti, e da parte delle stesse tifoserie che assistono alla competizione, e la incitano dagli spalti dei media, si evitino effetti retorici che conducono al superamento della soglia che comprometterebbe, successivamente, la necessaria reciproca affidabilità delle parti politiche, di maggioranza e di opposizione.

Approfondimenti 
La pagina web di Kahneman sul sito italiano di finanza comportamentale
La pagina web di Kahneman a Princeton
Il volume tradotto dalle edizioni de Il Sole 24 Ore


 

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