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[04 mar 08]

Knut, Berlino e l'identità leggera

Knut goes to Hollywood. L’epopea dell’orso bianco dello zoo di Berlino è arrivata sul grande schermo, presentata in anteprima domenica sera, di fronte a millecinquecento invitati speciali, nella sala dello Zoo-Palast, il cinema più famoso della vecchia Berlino Ovest che tradizionalmente ospita una parte dei film della Berlinale. Una manciata di metri dallo zoo dove vive. Il titolo: Knut e i suoi amici (Knut und seine Freunde). Insomma, gli ingredienti ci sono tutti per perpetuare all’infinito il mito di Knut, che ha preso vita un anno e mezzo fa, quando un cocciuto veterinario del più famoso zoo d’Europa decise di adottare il piccolo orsetto ripudiato dalla madre. Sfidando le leggi della natura e le opinioni degli ecologisti che, proprio in nome di quelle leggi di natura così crudeli, pretendevano che l’orsetto morisse: se la madre non lo vuole, non deve sopravvivere.

Thomas Dörflein è il nome del veterinario, divenuto anche lui un personaggio nonostante il carattere chiuso e introverso. Capelli neri lunghi legati dietro a coda, un barbone folto e scuro, sembra anche esteticamente il personaggio ideale da mettere accanto a Knut: il bianco candido dell’orsetto e il nero tenebroso dell’uomo che lo ha salvato e cresciuto come un padre. Il film, diretto dal regista tedesco-americano Michael Johnson, si stacca tuttavia dal canovaccio dell’invenzione. E’ un documentario, come si conviene alla tradizione teutonica, che racconta la storia fortunata di Knut nei mesi di vita nello zoo, l’assistenza di Thomas e dei suoi colleghi, lo straordinario successo di pubblico ottenuto, la prima uscita di fronte ai suoi fan, la crescita degli ultimi mesi, nei quali il batuffolo bianco ha lasciato spazio a un orso giovane ma non per questo meno giocherellone. Thomas e gli altri amici di Knut non possono più giocare come capitava nei primi mesi, perché una carezza dell’orso avrebbe oggi ben altre conseguenze. Ma Knut ha ormai preso gusto alla sua vita da star ed è come se capisse che tutta quella folla che, ancora oggi ogni giorno staziona di fronte al suo recinto merita di essere ricambiata con giochi e smorfie che solo lui sa concedere. Il film-documentario contiene molte immagini inedite, mai comparse nei tanti dvd che hanno accompagnato la straordinaria operazione di marketing che si è innescata dietro Knut. E la magia che attirerà al cinema tanti bambini (ma non solo, dando un’occhiata alla composizione anagrafica dei fan dell’orso) è tutta nella storia reale che, appunto, non ha avuto bisogno di ulteriori interventi nel copione.

Una favola metropolitana, nata nell’oasi ingenua di uno zoo, dove i ritmi di vita quotidiana della città si stemperano in quella sorta di mondo artificiale fatto di recinti più o meno ampi che hanno sostituito le vecchie gabbie di un tempo. E una favola attraverso la quale Berlino ha provato (con successo) a costruire la sua nuova immagine. Sulla scia di quel motto lanciato un paio di anni fa dal borgomastro Klaus Wowereit, “arm aber sexy”, povera ma sexy, che ai berlinesi è piaciuta tanto anche se a noi italiani rimanda un po’ troppo ai tempi neorealistici e post-bellici del poveri ma belli. Una nuova dimensione della città scaraventata dalla storia di nuovo al centro dell’Europa, che non significa più al centro del mondo, anche se sempre di proscenio si tratta. Berlino, così carica di storia e soprattutto di tragedie, dopo la caduta del Muro si è trovata catapultata nel faticoso compito di ricostruirsi una dimensione da capitale, caricandosi sulle spalle anche il valore simbolico della riunificazione della nazione che aveva fatto nascere il nazismo e aveva portato il mondo alla guerra.

I grandi lavori urbanistici, i cantieri e le gru della Potsdamer Platz, il vestito burocratico indossato per ospitare la politica nazionale, il faticoso esperimento sociologico di riunire due popoli, due mentalità e due storie. Knut è stato un rifugio per tutti. Così carico di simboli nuovi, ecologici, che guardano alle speranze e alle paure del nuovo secolo: il rapporto uomo-natura, l’animale più a rischio di tutti sul piano inclinato innescato dal surriscaldamento globale. E poi l’affetto dei bambini. Ecco perché la storia di Knut è diventata la cronaca di Berlino oggi. La Berlino più vera, che sarà sempre refrattaria alla camicia di forza imposta dal ruolo di essere capitale. Se questa città aveva un bisogno di identità, Knut gliel’ha data. Politicamente corretta. Tollerante. E aperta verso il futuro. Un’identità leggera che non sarà mai una gabbia.

 

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