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UN PATTO PER VIVERE, NON PER SOPRAVVIVERE
La campagna elettorale si è assopita, i protagonisti sembrano affezionarsi all'idea del pareggio. Ma la somma di due debolezze non fa mai una forza.
di DOMENICO MENNITTI

[21 mar 08] Sembrava una campagna elettorale diversa, nel senso che abbiamo sperato che riproponesse un intenso sapore di politica. La scomposizione delle vecchie ammucchiate e la definizione di un nuovo quadro politico avevano persino fatto superare la delusione per la mancata riforma elettorale. I sistemi per eleggere la rappresentanza – abbiamo sostenuto anche noi – sono il risultato di un processo politico che, per le precipitose circostanze che hanno affrettato la fine del governo Prodi, non si è potuto sviluppare; però - ci consolavamo – c’è qualcosa di nuovo sotto il sole e produrrà cambiamenti importanti non solo per sottrarre ai partiti un titolo che ora hanno e non meritano (designare gli eletti), ma anche per dare efficienza ai meccanismi che governano la produzione delle leggi. In effetti le cose sono andate così sino a quando al centro del dibattito c’è stato il governo dimissionato. Era così forte la delusione per la prova fornita dalla strana coalizione che ogni segnale di novità è stato accolto con beneficio di speranza, quasi con indulgenza: dal destino di Berlusconi, irresistibilmente proiettato verso il ritorno a Palazzo Chigi, al successo – se non elettorale, politico – di Veltroni, che aveva fatto chiarezza lasciando fuori dal Partito democratico la cosiddetta sinistra radicale, quella che ancora pretende d’essere contemporaneamente di governo e di opposizione. Non, quindi, assecondando gli esiti elettorali, perciò obbedendo al ruolo assegnato dagli elettori, ma evocando vaghe reminiscenze ideologiche, seguendo le quali non si governa più neppure un condominio. Figurarsi una società complessa, che la politica dovrebbe condurre a sintesi per garantirle una efficiente gestione.

Dalla chiarezza delle posizioni era lecito attendersi una ridefinizione del quadro politico che, a sua volta, avrebbe prodotto le riforme, sempre evocatissime nei tempi elettorali (per intenderci, quando il Parlamento è chiuso e nessuno le può approvare) e poi relegate subito fra le iniziative scabrose, che non danno voti e, perciò, si possono rinviare. In eterno, a quel che sembra, considerando che la Prima Repubblica è finita sommersa dalla corruzione e la Seconda si ritrova anchilosata, incapace di sciogliere uno soltanto dei nodi che stringono alla gola il Paese. La percezione che si sta diffondendo in questi giorni di campagna elettorale sta gettando secchiate di acqua gelida sul fuoco della speranza. Scomparso Prodi, protagonista negativo, non prendono consistenza i protagonisti del cambiamento. Intanto l’impressione è che si voti ogni giorno solo nel luogo dove si ferma la “corriera” di Veltroni o allestisce il palco Berlusconi. E’ la campagna dei leader, alla quale non solo gli elettori, ma pure i candidati (rassegnati nelle tre categorie dei sicuri, dei probabili e delle comparse) partecipano distratti e senza spirito di partecipazione. E poi gli argomenti che vengono in discussione: o scontatamente somiglianti nelle soluzioni prospettate (tanto è vero che l’accusa che le parti si rimbalzano è di essersi copiati i programmi) o terribilmente deboli in una situazione che richiede competenza, coraggio e creatività. Invece tutto procede a marcia bassa, sono mosce finanche le polemiche che non si comprende se si possono definire generazionali, perché gli insulti sono misurati non più sull’anagrafe ma sulla percezione di un vitalizio a carico dello Stato. 

E’ vero che, a metà del percorso, i grandi partiti battono la fiacca per tornare in auge nella fase finale, quando si pone concretamente il tema della utilità del voto. Però questa volta è diverso, perché straordinariamente diverse sono le condizioni economiche dell’Italia e davvero imprescindibile è la necessità di uscire dalle secche della transizione per restituire slancio e fiducia ai cittadini. Non è mai accaduto di andare a votare mentre la compagnia aerea di bandiera sta forse compiendo l’ultimo passo verso il fallimento, mentre la crescita è prevista pari allo zero, mentre la moneta europea forte non produce vantaggi ma difficoltà, mentre i servizi essenziali sono allo stremo e riflettono inquietudini su settori un tempo determinanti come il turismo. Ed i leader che dicono per rassicurare gli italiani? Che, se finisce in parità, sommeranno le loro debolezze di idee, di programmi, di temperamenti? Il guaio è che, con il trascorrere dei giorni, a questa idea del pareggio i contendenti si stanno affezionando. Ed invece no, bisogna combatterla, perché gli italiani sono del tutto indifferenti alle ipotizzate alchimie degli sconfitti e sono fortemente interessati a capire quale forza politica ha le idee chiare ed il cuore forte. Provocare una crisi di governo e mobilitare un Paese per le elezioni in una fase tanto delicata per prospettare una miserabile intesa di sopravvivenza, sarebbe una grave sconfitta per tutti. Chissà quando e se mai recuperabile.


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