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CALCIO IN TV: I DIRITTI DELLA DISCORDIA
La lotta per i diritti tv che vede contrapposte Sky e Mediaset, rischia di diventare politica. E di entrare a gamba tesa nella campagna elettorale.
di SILVANA MIGLIARO

[20 mar 08] Siamo alle solite. La vicenda della contrattazione e ripartizione dei diritti televisivi del calcio italiano sembra non dover avere mai fine; e anzi il suo intreccio con lo sviluppo della campagna elettorale promette di complicarne ancor di più le sorti. A tentare una sistemazione dell’intricata questione ci avevano provato, a gennaio, i ministri Gentiloni e Melandri, poco prima della caduta del governo Prodi, con una legge che a partire dal campionato 2010-2011 avrebbe trasformato il regime di trattativa per i diritti da individuale – facente capo, cioè, alle singole squadre – in collettivo – ossia gestito dalla Lega Calcio per il gruppo delle squadre nella sua interezza. Lo scopo della legge era quello di riequilibrare il mercato dei diritti sportivi - fino ad allora favorevole alle squadre principali, dotate di maggiore forza contrattuale e quindi destinatarie di contratti più remunerativi - in modo da garantire entrate comparabili anche alle squadre minori. Sarebbero invece restati in capo ai club i diritti secondari – come quello di ripresa e produzione delle immagini e dei video tramite le telecamere poste sul campo - la cui vendita ciascuno di essi potrà gestire separatamente. Questa facoltà, tuttavia, potrebbe dare adito a situazioni limite: vale a dire, i compratori che possiedono i diritti dei contenuti, potrebbero non avere quelli per acquisire materialmente tali contenuti, e quindi essere di fatto impossibilitati a trarne profitto.

Tra gli scontenti della legge figura la Sky Italia di Murdoch, in nome della convinzione che una simile legge favorisca platealmente la posizione di Mediaset, consentendole di aggiudicarsi anche diritti di squadre sinora sfuggite al suo controllo. Di fatto, in caso di vendita dell’intero pacchetto dei diritti multipiattaforma, Sky sarebbe tagliata fuori dai giochi, in quanto le condizioni imposte alla piattaforma alla sua nascita - con l’unione di Stream e Telepiù nel 2003 - impongono che non le sia possibile acquisire altro tipo di licenze che quelle per il satellite: di conseguenza, non potrebbe concorrere per quelle legate all’etere, né digitale né analogico, e per i nuovi media. L’esclusione di ogni possibilità di sublicenza priverebbe in questo modo Sky di ogni accesso all’acquisizione dei diritti indispensabili per trasmettere le partite di calcio. La risposta dell’azienda italiana di Murdoch non si è fatta attendere: la scorsa settimana è stato annunciato il ricorso all’Unione Europea, che sarà in questo modo chiamata a intervenire sul provvedimento legislativo. Da lunedì scorso, al coinvolgimento dell’Unione Europea si è aggiunta un’indagine dell’Antitrust italiana, che ha annunciato di voler approfondire gli aspetti della legge più legati alla reale possibilità di competizione tra i vari operatori televisivi.

E siccome quando il gioco si fa duro eccetera eccetera, la strategia di Sky non disdegna le armi della politica: l’azienda ha puntato il dito contro la possibilità che, se Berlusconi vincesse le elezioni, possano prodursi o consolidarsi per il mercato dei diritti calcistici condizioni favorevoli a Mediaset, che possiede, e al Milan, di cui è presidente. A questo proposito, vale tuttavia la pena di allargare la prospettiva sulla situazione complessiva. Nelle stesse ore in cui fervevano le manovre e le polemiche, infatti, le stesse Sky e Mediaset trattavano su un altro tavolo la possibilità di trasmettere attraverso la rete satellitare i contenuti pay-per-view attualmente destinati all’offerta Premium del Digitale Terrestre. Quanto al Milan, avrebbe molte ragioni per sostenere la battaglia intrapresa da Sky: come ha fatto intendere il suo amministratore delegato Adriano Galliani, commentando che il ricorso “è il primo in ordine cronologico e ne seguiranno altri, anche davanti ad altri organi giurisdizionali”. Un quadro quanto meno complesso, che invita a non formulare giudizi facili sul comportamento dei vari soggetti, i quali non fanno che agire, ciascuno come può, per ottenere il massimo vantaggio dal mercato in cui operano. Insomma, chi già si fregava le mani, ghiotto di una ragione in più per puntare il dito contro l’ascesa di Berlusconi al governo, farebbe forse meglio a rimetterle in tasca, e ad aspettare: il guazzabuglio dei diritti calcistici gli riserverà di certo qualche altro goloso boccone.


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