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E SE SCEGLIESSIMO UNA REPUBBLICA PRESIDENZIALE?
La presentazione delle liste ha scatenato molti malumori. Ma forse il problema è di natura istituzionale. Non sarebbe ora di mettere mano alle riforme?
di MATTEO GUALDI

[14 mar 08] Si parla molto in questi giorni delle candidature dei due principali partiti. Chiuse finalmente le liste, invece di discutere di programmi, non si fa altro che litigare per i nomi dei candidati. In molti, nel Pdl e nel Pd, criticano le scelte fatte, le persone inserite in posizioni di garanzia, la loro inesperienza ed il loro scarso radicamento sul territorio (con importanti malcontenti nella base elettorale). L’unico merito dei nominati, si dice, peraltro a ragione, è la fedeltà ai vertici dei partiti. Naturalmente questo non è, e non può essere, considerato un bene. Chi volesse però analizzare il problema non dovrebbe fermarsi alle conseguenze, ma dovrebbe cercare di indagare le cause. Silvio Berlusconi, poche settimane fa, mentre si apprestava a fare le liste, aveva candidamente ammesso che “In Parlamento lavorano in 30 persone, tutti gli altri devono essere lì, leali e presenti. Se ci sono troppi bravi, alla fine fanno a pugni perché, ad esempio, su un argomento vogliono parlare in tre, quattro, cinque. Allora meglio averne uno bravo con una riserva e basta”. E’ triste, tristissimo, ma purtroppo è inesorabilmente vero. Il problema però non è tanto politico, quanto piuttosto istituzionale. Viene da chiedersi, infatti, come si sia arrivati a questa situazione. Il fatto è che viviamo in una repubblica parlamentare nella quale il presidente del Consiglio non ha grossi poteri reali, in quanto non solo deve avere la fiducia delle Camere (che possono revocarla in qualunque momento), ma ogni proposta di legge deve passare dal vaglio di Camera e Senato (che devono approvarla nella medesima forma), riducendo il potere decisionale in maniera drastica, come dimostra il sempre più diffuso ricorso al voto di fiducia.

In altre democrazie occidentali, come per esempio la Francia o gli Stati Uniti d’America, il presidente viene eletto direttamente dal popolo e non deve passare attraverso i complicati iter parlamentari previsti in Italia, assumendo un potere maggiore al quale è naturalmente connessa una maggiore responsabilità. Il presidente ci mette la faccia, ma sa che ha i poteri per decidere, nel bene e nel male, e che saranno gli elettori a valutare il suo operato, alla scadenza naturale del mandato. In Italia, invece, il potere decisionale del premier è molto minore e può essere di fatto annullato dal Parlamento. Per questo Berlusconi e Veltroni sfruttano la possibilità preventiva di scegliere i nomi di coloro che siederanno sugli scranni di Montecitorio e palazzo Madama per tutelarsi in caso di vittoria. Solo in questo modo, oggi, possono cercare di garantirsi la governabilità necessaria domani. D’altra parte, l’ondata di antipolitica che si è scatenata negli ultimi tempi è figlia proprio dell’incapacità decisionale dell’esecutivo, particolarmente aggravatasi durante il debolissimo governo Prodi. I cittadini e le imprese chiedono al potere esecutivo di fare scelte coraggiose, di decidere, ma il premier ed i ministri hanno spesso le mani legate dai passaggi parlamentari, che tendono continuamente ad annacquare le loro proposte su pressione di interessi di parte (basta vedere che fine hanno fatto le proposte di abolizione degli albi professionali o le liberalizzazioni, giusto per fare due esempi recenti).

Il paradosso è che preferiamo mantenere una forma di repubblica parlamentare, nella quale il Parlamento è svuotato delle sue funzioni e prerogative, perché riempito con teste vuote allo scopo di consentire al governo di svolgere le sue funzioni, piuttosto che affermare chiaramente in piena coerenza che sarebbe meglio trasformarla in una repubblica presidenziale, dove il governo svolge una funzione (esecutiva) ed il Parlamento un’altra (legislativa), ciascuno sovrano nel proprio ambito e libero di agire e di rispondere direttamente ai cittadini. Oltretutto questo consentirebbe al presidente del Consiglio di avere la certezza di governare per tutto l’arco della legislatura (salvo naturalmente casi particolarissimi) e di evitare quel gioco del “cade-non cade” che sembra essere diventato lo sport nazionale negli ultimi due anni. Se l’opposizione sa che il governo rimarrà in carica per gli anni previsti perché il Parlamento non ha il potere di “licenziarlo” (se non, lo ripetiamo, in casi particolarmente gravi) gli uni e gli altri potranno svolgere in maniera più consapevole, costruttiva e lungimirante la propria azione. Per questo occorrerebbe avviare al più presto le riforme strutturali che garantiscano finalmente al nostro Paese una forma istituzionale moderna, che sia in grado di rispondere alle esigenze dei cittadini ed alle sfide che il futuro ci pone.


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