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MORTI BIANCHE: LE LEGGI CI SONO, BASTA APPLICARLE
Al varo il nuovo pacchetto per la sicurezza sul lavoro. Un collage emergenziale di norme già esistenti e disattese. E se provassimo a cambiare cultura?
di ENRICO GAGLIARDI

[07 mar 08] Mentre la politica discute, nelle fabbriche si continua a morire. Una vera e propria strage che ogni giorno porta sempre di più alla luce lo stato miserevole della sicurezza sul lavoro in Italia. Anche il modo di rispondere a questa emergenza è tipicamente italiano, attraverso l’emanazione sistematica e stratificata di legislazione al limite dell’emergenziale, che si va ad accatastare su quella già presente. Ovviamente, tutte norme che nella maggior parte dei casi resteranno lettera morta come le precedenti. Leggi, insomma, che (nella migliore tradizione manzoniana delle grida) hanno una valenza politica, sono tese a placare le polemiche del momento, più che essere dirette effettivamente alla risoluzione del problema. Come spesso accade nel nostro Paese, la questione viene vista sempre dall’inquadratura sbagliata o meglio da un solo punto di vista, sovente “inquinato” da convinzioni personali e politiche. L’Italia ad oggi rappresenta una nazione con una legislazione molto avanzata dal punto di vista della sicurezza del lavoro, oltre che per una buona normativa interna anche per le disposizioni di carattere internazionale (basti pensare agli impegni presi in sede Ilo) e comunitario che l’Italia ha abbondantemente sottoscritto e recepito, anzi talvolta si è verificato il paradosso di una legislazione interna più moderna e progressista di quella sovranazionale.

Ecco, invece, che il governo emana l’ennesimo pacchetto omnicomprensivo in materia di sicurezza sul lavoro, pacchetto di cui davvero non si sentiva necessità: all’interno una serie di disposizioni che sostanzialmente recuperano ed in parte inaspriscono la normativa vigente. Maggiori controlli, sanzioni più restrittive, un apparato statuale più invasivo. Viene per esempio previsto “un coordinamento delle strutture centrali e territoriali di vigilanza, al fine di rendere più efficaci gli interventi di pianificazione, programmazione, promozione della salute, per evitare sovrapposizioni, duplicazioni e carenze negli interventi e valorizzando le specifiche competenze”. Ciò che desta meraviglia è vedere come in buona sostanza tale decreto non fa altro che recuperare, in una sorta di collage normativo, tutta una serie di disposizioni già abbondantemente presenti nell’ordinamento, sia nel settore penale che in quello civile, inasprendo in alcuni casi la disciplina. Perché di punto in bianco debbano essere rispettate norme che fino ad oggi non sono state prese in considerazione, rimane un mistero. Il punto, dunque, più che legislativo appare “culturale”; da quanto si sta apprendendo in sede di indagine, nella tragedia che a Molfetta ha visto la morte di 5 operai non sono stati rispettati gli standard di sicurezza e il procuratore di Trani ha escluso la fatalità addebitando invece ad imperizia le cause della strage. Perché gli operai addetti alla pulitura della cisterna non erano in possesso degli strumenti idonei per la tutela della propria salute previsti dalla legge? Perché lo stesso datore di lavoro non ha calcolato a sufficienza i rischi di quell’operazione?

Come si vede, dunque, il problema non è legato alle norme ma al rispetto delle stesse. Come pretendere di emanare un pacchetto sulla sicurezza nei luoghi di lavoro se non vengono rispettate nemmeno le misure più elementari già vigenti? Un altro aspetto della vicenda poi è legato al ruolo dei sindacati, che sempre più sembrano posti a tutela dell’acquisito, dell’esistente, piuttosto che di situazioni meritevoli di più attenzione. Purtroppo occorre notare come le associazioni di tutela dei lavoratori spesso si siano contraddistinte più per una politica del rifiuto ad oltranza, della difesa dei privilegi acquisiti piuttosto che per un impegno serio e consolidato nei confronti delle condizioni (spesso miserevoli) degli operai nelle fabbriche. E’ chiaro, insomma, come sempre di più il sindacato si occupi di politica, spesso in polemica con gli imprenditori, invece che di condizioni di lavoro. Anche l’operato della magistratura non è sempre impeccabile: alcune procure sembrano eccessivamente influenzate dall’opinione pubblica nell’accertamento e nelle formulazioni delle ipotesi di reato. Come già messo ottimamente in luce dal Professore Mathieu proprio dalle colonne di Ideazione, appare davvero azzardata la scelta della Procura di Torino di incriminare alcuni responsabili della Thyssen per omicidio volontario per la strage di qualche settimana fa. Una posizione del genere, chiaramente legata agli umori della piazza, rischia in fase processuale di essere smontata pezzo per pezzo e di fare così gli interessi proprio di quei datori che non hanno rispettato le misure di sicurezza in quel terribile rogo. Mancato rispetto delle leggi dunque, cattivo operato dei sindacati e posizioni discutibili da parte della magistratura ordinaria; appaiono questi ad oggi i nodi di sciogliere, non certo la mancanza di norme giuridiche di cui il nostro ordinamento è già fin troppo pieno ed al limite della necrosi normativa.



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