Questo sito è ottimizzato
per Internet Explorer.

(c) Ideazione.com 2008
Direttore responsabile: Barbara Mennitti
aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa
Redazione: piazza Sant'Andrea della Valle, 6 - 00186 Roma
Tel: 0668135132 - 066872777 - Fax: 0668135134
Email: redazione@ideazione.com

FIERA DEL LIBRO, ISRAELE INFIAMMA TORINO
Mentre fuori dal Lingotto si boicotta e si bruciano le bandiere, l'intellighentsia di sinistra dà vita al solito dibattito interno sulla situazione mediorientale, strumentalizzando una manifestazione culturale di rilevanza mondiale.

di DOMENICO NASO

[09 mag 08] Prendete quattro uomini di sinistra (Gabriele Polo, Walter Veltroni, Dario Fo e Piero Fassino), distribuiteli su tre giornali nazionali (il Manifesto, Corriere della Sera, La Stampa), inserite i loro interventi nella diatriba sul boicottaggio della Fiera del Libro di Torino che ospita, quest’anno, la letteratura israeliana. Ne viene fuori un dibattito politico-culturale tutto interno alla sinistra, figlio di un rapporto mai chiarito tra le forze progressiste italiane e lo Stato di Israele. Fino a 20 anni fa, Polo, Veltroni, Fo e Fassino coesistevano, più o meno placidamente, nell’accogliente ventre del Pci; oggi sembrano avversari da sempre, portatori di linee politiche e culturali che mai si possono conciliare. Ma prima di rendere conto di questa già vista disputa a sinistra, è bene ripercorrere a grandi linee la vicenda che l’ha reinnescata. La Fiera del Libro di Torino è il più grande evento editoriale italiano, il secondo in Europa dopo Francoforte, addirittura il primo per numero di visite nel 2006 e nel 2007. Più di mille espositori, trecentomila visitatori, un tema che fa da filo conduttore (quest’anno è la bellezza), e uno o più Paesi del mondo ospitati ogni anno. Proprio quest’ultima caratteristica della manifestazione ha rappresentato la pietra dello scandalo: gli organizzatori hanno invitato, anche in concomitanza con il sessantesimo anniversario dalla sua fondazione, lo Stato di Israele. Scelta che non pare per nulla strumentale, né politica. In fondo Torino è la città simbolo dell’ebraismo italiano, che ha visto crescere alcune delle migliori intelligenze della cultura ebraica del nostro Paese, da Primo e Carlo Levi a Gad Lerner.

In un Paese come l’Italia, storicamente percorso da vigorosi fremiti filopalestinesi (dai democristiani ai comunisti, dalla vecchia destra radicale ai socialisti), la cosa non poteva certo passare inosservata. Quale migliore occasione, dunque, per inscenare una protesta di piazza, qualche manifestazione, addirittura un boicottaggio? I sostenitori di questa balzana idea (boicottare la cultura è abominevole, diciamolo pure) hanno trovato il comodo appoggio di alcuni intellettuali di sinistra, primo fra tutti l’immancabile Gianni Vattimo. Già il 5 febbraio scorso, dalle colonne de La Stampa, il filosofo del pensiero debole aveva lanciato la campagna di boicottaggio contro Israele, contro la Fiera del Libro, contro chi ci andrà, contro chiunque la pensi in maniera diversa da lui, insomma. Gli argomenti usati, da Vattimo e da chi ne ha seguito l’esempio, sono quelli di sempre: Israele sarebbe uno Stato autoritario e sanguinario, che uccide e affama i palestinesi, privandoli del diritto a creare uno Stato indipendente. A qualsiasi attento osservatore della politica internazionale, argomentazioni del genere suonerebbero quantomeno discutibili, ma all’interno della grande e litigiosa famiglia della sinistra italiana posizioni del genere non sono affatto una novità. Forse è per questo, dunque, che, mentre il centrodestra riaffermava la sua ormai solida amicizia nei confronti di Israele, l’intellighentsia di sinistra si lanciava in una delle sue solite dispute dottrinarie, mischiando in maniera confusa un evento culturale con ben più complessi temi di politica internazionale. E mentre i dotti progressisti disquisivano, difendendo gli israeliani, i palestinesi o tutti e due, in piazza le bandiere con la stella di David venivano incivilmente bruciate.

In realtà, ma c’era da aspettarselo, oltre Gianni Vattimo sono pochi gli intellettuali “noti” ad aver aderito allo strampalato boicottaggio. Gli altri, persino quelli più radicali e antagonisti, hanno preferito salvare la faccia, difendendo ipocritamente il diritto a esistere di Israele (sulla cartina geografica e nelle sale del Lingotto), salvo poi affondare i soliti colpi ideologici contro i tiranni di Tel Aviv. Dopo due mesi di lunghissime discussioni, ieri la Fiera ha aperto i battenti, accolta da interventi a pioggia sui più importanti giornali italiani. Abbiamo scelto, come dicevamo all’inizio, quattro personaggi sicuramente noti, esponenti politici o culturali di aree diverse del panorama della sinistra italiana. Gabriele Polo, direttore de il Manifesto, nel suo editoriale di ieri ha riaffermato la contestatissima linea del giornale: no al boicottaggio perché il Manifesto, scrive Polo, “ha ancora la presunzione di ritenere che la cultura possa essere luogo d’incontro e confronto, anche con chi lo nega (ovviamente Israele, ndr)”. Parole condivisibili, senza dubbio. Ma Polo, che per formazione culturale e politica ha ovviamente una visione molto chiara della vicenda mediorientale, continua: “Ma oggi, con la stessa forza con cui difendiamo la legittimità all’esistenza dello Stato d’Israele difendiamo il diritto alla critica delle pratiche oppressive dei suoi governi. […] Da oggi a sabato, a Torino, non è in gioco il diritto di vivere dello Stato israeliano, ma la libertà di denunciare e contestare le condizioni di non-vita cui sono ridotti i palestinesi, la possibilità di tenere aperta una prospettiva di pace e un movimento coerente con essa”. Per la serie: compagni, siamo contro il boicottaggio ma è giusto che lo facciate. Strane contorsioni culturali.

Sempre su il Manifesto, intervistato da Tommaso Di Francesco, il premio Nobel Dario Fo assume una posizione simile, seppure più marcatamente antiisraeliana. L’attore e commediografo alla Fiera ci sarà, non solo come visitatore ma anche (e soprattutto) come ospite e relatore. “Ci sarò. Per la Palestina”, dichiara orgoglioso. “Avrei dovuto presentare il mio libro appena pubblicato. Invece ho scelto di parlare di Palestina”. Ma Fo si scaglia anche contro la separazione tra cultura e politica, fedele alla dottrina di chi, in fondo, ha sempre affermato che persino il personale è politico. E infine il rimpianto: non aver organizzato una Fiera dei due popoli “è la sconfitta della speranza”. Israele ospite, dunque? Sì, ma solo insieme alla Palestina. Pretesa in verità poco democratica e un po’ fuoriluogo, visto che di letteratura si tratta, non di negoziati di pace.

Di tutt’altro tenore gli interventi di Walter Veltroni e Piero Fassino, rispettivamente dalle colonne di Corriere della Sera e La Stampa. Le posizioni dei due esponenti di spicco del Partito democratico rappresentano, vivaddio, una sinistra che sta cambiando (a fatica) e che potrebbe finalmente diventare davvero come i grandi partiti liberalsocialisti e socialdemocratici di tutta Europa. Veltroni divide la sua analisi in due parti: l’errore di boicottare e l’ostilità nei confronti dello Stato di Israele. “Come possa un qualsiasi uomo di cultura che voglia davvero essere tale chiedere di far tacere altri uomini di cultura, negare ascolto alle loro parole è difficile capire. Tanto più quando si tratta di autori che sostengono l’unica possibilità che israeliani e palestinesi hanno di convivere pacificamente: il dialogo, il riconoscimento delle reciproche sofferenze e speranze, il diritto degli uni a vivere in casa propria senza paura, degli altri a vivere in un loro Stato indipendente”. Sembrerebbe, di primo acchito, l’ennesimo esercizio di “ma anchismo” veltroniano, se non fosse che il segretario del Pd continua con sempre maggiore fermezza, difendendo senza se e senza me il diritto a esistere dello Stato di Israele: “A preoccupare è un clima, sono posizioni, che nascono da un pregiudizio e che possono condurre a conseguenze pericolose. Il pregiudizio procede lungo un confine sottile, che separa le critiche ragionate e per questo legittime alle politiche dei governi israeliani, da quelle ideologiche, manichee: Israle ha sempre torto, la “colpa” è sempre sua, anche quando il coraggio di chiudere un accordo manca alla controparte o quando magari formazioni arabe fanno fuoco le une contro le altre. Le conseguenze pericolose”, continua Veltroni, “stanno […] nel fatto che oltre alla critica a Israele spesso viene chiamato in causa l’interno popolo ebraico. Forse non apertamente, forse con un “non detto”, che però nulla toglie ai rischi di un risorgente antisemitismo”.

Piero Fassino, invece, parla più con la pancia e più da uomo di sinistra rispetto a Veltroni. Ribadendo il suo fermo no al boicottaggio e la volontà di presenziare alla Fiera “in primo luogo come parlamentare della Repubblica Italiana e anche come cittadino democratico”, l’ultimo segretario dei Democratici di sinistra paragona il boicottaggio alle bandiere bruciate in piazza: “Se bruciare le bandiere è un gesto ignobile, non meno scellerato è contestare la presenza di Israele ad una iniziativa culturale fondata sul libro. Il libro è stato per secoli lo strumento principale di conoscenza, […] a cui nazioni, popoli e l’umanità intera hanno affidato i loro percorsi di libertà e di emancipazione. Tant’è che ogni volta che si è voluto reprimere un popolo o una cultura o una religione, se ne sono mandati al rogo i libri”. E chiude tentando una rischiosa affermazione del rapporto storico, “un nesso inscindibile”, tra sinistra ed ebraismo. E’ innegabile che una parte della sinistra abbia intrattenuto rapporti più che buoni con il popolo ebraico. Ma è altrettanto vero che con la nascita dello Stato di Israele qualcosa è cambiato e la sinistra italiana si è sempre più avvicinata alle posizioni palestinesi, anche in periodi in cui l’intento terroristico era addirittura più evidente di adesso.

Fin qui, dunque, la discussione culturale che, diciamocelo francamente, si è già vista fin troppe volte all’interno del mondo di sinistra. Di nuovo, stavolta, forse c’è solo il risvolto politico della vicenda. In fondo Veltroni e Fassino rappresentano quel Pd che ha fagocitato la sinistra radicale estromettendola dal Parlamento dopo sessant’anni. Quella stessa sinistra, però, che ancora riempie le piazze e troppo spesso tace di fronte a episodi di intolleranza anacronistici e privi di logica. E mentre a Torino la bandiera di Israele viene bruciata, a Roma il sindaco Alemanno, che qualcuno si ostina a definire “picchiatore fascista”, la faceva sventolare sul pennone del Campidoglio, a celebrare i sessant’anni dello Stato ebraico e a ribadire, se ancora ce ne fosse bisogno, che quel cambiamento che si attende a sinistra, la destra l’ha già portato a termine.


Le riflessioni di un filosofo
sul mondo che cambia.

_____________

Un occhio indiscreto e dissacrante nei Palazzi del potere.
_____________

_____________
IL POST

I migliori post del giorno selezionati dai blog di Ideazione.

_____________
IDEAZIONE DOSSIER
Analisi, approfondimenti
e reportage.

IDEAZIONE VINTAGE
Il meglio dei primi quattordici anni della rivista bimestrale.
_____________
I BLOG DI IDEAZIONE

---

---

---

---



Più Balladur
e meno Attali

di Daniele Capezzone



In viaggio da Berlino a Bonn
di Pierluigi Mennitti



Gli anglosassoni e la globalizzazione

di Massimo Lo Cicero



Lesbo sul piede
di guerra

di Barbara Mennitti



I Supereroi invadono Hollywood
di Domenico Naso



Marco Casella, l'importanza della politica estera
di Stefano Caliciuri