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[21 mar 08]
Fallimenti, chi vince e chi perde

Un tempo il fallimento era la giustificazione del capitalista. Come gli ufficiali meritavano uno stipendio con poco lavoro perché in caso di guerra accadeva loro di morire, così gli imprenditori si arricchivano con il lavoro di tanti piccoli operai , ma la giustificazione era che, se sbagliavano, subivano l’onta e il danno del fallimento: cadevano “come le foglie” dice una commedia del Giacosa. Oggi, al contrario, il fallimento è il mezzo più praticato per arricchire. Una stessa persona riesce a fallire 3, 4, 5 volte, a nome proprio, della figlia, della suocera; e alla fine ha messo da parte un bel gruzzolo. In teoria lo si potrebbe accusare di bancarotta fraudolenta, ma sarà già sfortunato se sarà messo agli arresti domiciliari.

La legge fallimentare danneggia essenzialmente il creditore in valuta. Tutti gli altri gli passano davanti, a cominciare dai titolari di salari e stipendi. Danneggia spesso gravemente anche chi da poco tempo sia stato in rapporto di affari col fallito, perché rischia un’accusa di favoreggiamento. Ma per il debitore principale il gioco vale quasi sempre la candela. La legge fallimentare è stata riformulata (un tempo l’insolvente diveniva schiavo, e ai tempi del Dickens finiva in prigione) sotto lo spettro della crisi degli anni Trenta, in cui un fallimento ne portava altri a catena. Si cerca di evitare questa strage degli innocenti concludendo il contenzioso a tarallucci e vino.

Ai grandi si cerca di evitare il fallimento a qualsiasi costo, in particolare alle banche. Così la banca federale degli USA va diminuendo di continuo il costo del denaro per evitare che grosse banche falliscano (probabilmente senza riuscirci). I creditori di queste banche ne traggono vantaggio, ma nel Paese vi sono tanti altri piccoli creditori che, con l’inflazione che ne nasce, vedono svanire il loro gruzzolo: prestatori d’opera, proprietari di edifici dati in affitto, acquirenti di obbligazioni. Così chi sbaglia a dare deve continuare a pagare, mentre chi sbaglia nell’intraprendere continua a prendere.

 


 

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