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[19 mar 08]
E' giusto non partecipare alle Olimpiadi

Impossibile giudicare un Paese se non lo si capisce, difficile capirlo se non si conosce qualcosa della lingua. Mi astengo perciò dal giudicare il comportamento della Cina nel Tibet (anche se, naturalmente, parteggio per il Tibet). I provvedimenti dei governi cinesi rispetto alla popolazione non sono assimilabili ai nostri. Il diritto è solo qualcosa di vagamente analogo nei due casi. La pena di morte, ad esempio, più che una sanzione giudiziaria sembra un provvedimento sociale. Di qui i numeri che colpivano il Giusti della “Ghigliottina a vapore: fa la testa a centomila, messi in fila”.

I cinesi sanno ciò che vogliono e come ottenerlo. Se vogliono stabilizzare la popolazione, ad esempio, impongono l’uccisione dei secondi nati nel grembo materno. In fatto di commercio sono abilissimi, detestati perciò in Estremo Oriente come in Medio Oriente gli ebrei. Le regole sotto cui istituiscono un libero mercato sono diverse dalle nostre. Da noi alcuni (come Benedetto Croce) sostengono che è possibile la libertà senza libero mercato; in Cina si dimostra che è possibile un libero mercato senza libertà. Che noi (in particolare gli Stati Uniti) si accetti questa separazione è criticato da molti; ma, se i crimini (contro l’umanità) sono commessi fuori della nostra giurisdizione, non siamo tenuti a intervenire con la forza.

Diversa la situazione in ciò che riguarda la collaborazione culturale: il festeggiare insieme certi valori, ad esempio. Qui è giusto irrogare qualche sanzione morale; astenersi ad esempio dalle olimpiadi. Il comitato olimpico internazionale avrebbe fatto bene, anzitutto, a non assegnare le olimpiadi a Pechino: quale fosse il regime lo si sapeva. Oggi sarebbe illegale togliergliele, ma nessuno è obbligato a partecipare. Dalla Grecia in poi, le olimpiadi accomunano i popoli al di sopra delle istituzioni statali (poleis) ; allora sospendevano, ad esempio, l’esecuzione delle condanne a morte (“moratoria”direbbe l’Onu). La Cina è molto suscettibile e non mancherebbe di offendersi. Ma della sua suscettibilità è logico che si preoccupi la Chiesa, che discute di valori e di istituzioni: non chi commercia, perché i cinesi, anche se offesi, resteranno buoni commercianti.

 


 

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