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Arciere, lo strano destino degli uomini di Ultimo
di ENRICO GAGLIARDI

[25 mar 08] La mattina del 15 gennaio 1993 un uomo apparentemente normale esce da una casa incastonata in un comprensorio di villette a schiera. Solo successivamente si saprà che quell’uomo è Totò Riina, il capo dei capi, il vertice della cupola di Cosa Nostra. Ad aspettarlo fuori, appostata nella balena (un furgone attrezzato per le intercettazioni ambientali) c’è la squadra del capitano Ultimo che da mesi è sulle tracce del boss mafioso. Il super latitante sale in macchina e alla prima rotatoria viene affiancato dalla squadra del Ros che lo blocca: senza nemmeno accorgersi di quello che sta succedendo Riina si trova faccia a terra. Quel giorno dunque termina il terrore di Totò “u curto” ma iniziano i guai di chi lo ha catturato: da quel momento infatti inspiegabilmente gli uomini di Ultimo invece di essere riconosciuti patrimonio nazionale come in qualsiasi Paese normale, vengono trasferiti, adibiti a mansioni umilianti e nelle peggiore delle ipotesi addirittura indagati per fantasiose ipotesi di reato. Si comincia proprio con Ultimo (alla sbarra insieme al generale Mori, supervisore di quel gruppo) per gli avvenimenti legati alla cattura del capo dei capi ed in seguito assolto perché il fatto non costitutiva reato; poi tocca a Pirata, altro componente e negli ultimi giorni al maresciallo Sergio Ravera nome di battaglia Arciere attualmente in servizio a Torino dopo lo scioglimento del gruppo.

L’accusa che gli viene mossa è piuttosto seria: tentata estorsione nell’ambito dell’inchiesta sul furto del tesoro di Palazzina Stupinigi nel 2004, nella quale si ipotizza che qualcuno possa aver lucrato sulla restituzione del bottino, valutato in venti milioni di euro. La situazione è precipitata in breve tempo tanto che la Procura di Torino ha emanato ai danni del carabiniere un’ordinanza di custodia cautelare in forma domiciliare. Sfuggono le motivazioni sottese ad un provvedimento del genere considerando che i fatti risalgono al 2004 e che il bottino di quel furto è stato ritrovato proprio grazie all’opera del maresciallo Arciere successivamente insignito di una medaglia al valore per il suo lavoro in relazione a quell’operazione; dove sta il pericolo di inquinamento delle prove? Dove quello di reiterazione del reato piuttosto che di fuga? Bizzarra anche l’accusa di protagonismo che gli viene mossa dai magistrati inquirenti, a lui che, braccio destro del capitano Ultimo, per anni ha vissuto nell’anonimato senza che nessuno fosse a conoscenza del suo contributo fondamentale nella cattura di Riina. Nell’ordinanza di custodia cautelare la Procura di Torino segnala come il tentativo di estorsione sia dettato da motivazioni non legate al denaro ma all’ambizione personale: anche questo elemento suona molto strano considerando che Arciere era già arrivato al massimo vertice per un sottufficiale.

Tutto suona come paradossale in questa vicenda: un eroe della lotta alla mafia che viene prelevato dai suoi colleghi, portato in caserma e sottoposto a fotosegnalazione, quasi fosse il peggiore dei delinquente, come il suo stesso avvocato ha dichiarato in una recente intervista televisiva. Provoca stupore anche il silenzio assordante dei vertici dell’Arma dei carabinieri che solo negli ultimi giorni hanno sentito la necessità di esprimere solidarietà al maresciallo Ravere ferma restando (come si legge nel comunicato) l’assoluta fiducia nell’operato della magistratura. Arciere dunque sottoposto ad una vera e propria gogna mediatica di proporzioni indegne, Arciere di cui ora si conosce il nome vero con tutti i rischi che per lui e la sua famiglia tutto questo inevitabilmente comporta. Siamo in presenza di uno Stato che inspiegabilmente sacrifica i suoi migliori uomini consentendo che sia scatenata contro di loro una campagna diffamatoria. A prescindere dagli eventuali sbocchi processuali che avrà la vicenda, resta un’accusa infamante ai danni di chi per retribuzioni esigue e massacranti ore di lavoro ha sacrificato la sua vita alla lotta alla mafia e ha fatto della divisa dei carabinieri una seconda pelle. Una magistratura responsabile dovrebbe riflettere su questi elementi prima di muoversi con la mano pesante attraverso la limitazione della libertà personale, provvedimento che inevitabilmente getta palate di fango sulla professionalità di un pubblico ufficiale e che ad oggi assume una connotazione di totale sproporzionalità rispetto alla situazione contingente.


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