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Kenya, una pace troppo fragile
di ANGELO M. D'ADDESIO

[25 mar 08] Dopo due mesi di guerra civile, 1500 morti e 600mila sfollati, il presidente uscito vincitore dalle urne, Mwai Kibaki, di etnia kikuyo, che ha ricoperto ruoli politici di punta dai tempi del padre della patria Jomo Kenyatta, e Raila Odinga, leader dell’opposizione dell’Orange Democratic Movement (Odm), di etnia Luo, si sono stretti la mano. E’ accaduto il 27 febbraio scorso, sotto la benedizione del grande mediatore ed ex segretario dell’Onu, Kofi Annan. Il Kenya, modello di democrazia più evoluto nel continente africano, ha attraversato il periodo più oscuro della sua storia con scontri fra maggioranza ed opposizione, violenze etniche e religiose, soprattutto nelle roccaforti dell’opposizione, nelle fertili regioni della Rift Valley. La fatidica stretta di mano fra il presidente e l’oppositore è arrivata, ma il tutto è stato frutto di un gioco politico molto articolato messo in atto da Kofi Annan, l’ultima speranza della comunità internazionale che aveva visto già fallire le mediazioni dell’Unione Africana e dell’inviato Usa Jendayi Frazier. La pace keniana è nata da una spartizione di poteri difficile ed al momento ancora fragile. Raila Odinga chiedeva la vittoria nelle elezioni o la ripetizione delle medesime, ma si è accontentato di un posto da primo ministro, carica creata ad hoc per favorire un bilanciamento di poteri fra lui e il presidente Kibaki, al fine di esercitare una funzione di supervisione e di priorità nelle iniziative legislative. In più, sono state create anche le figure di due vice-premier, distribuite fra i due partiti di maggioranza, e molti dei membri dell’Odm saranno inglobati nel governo, che di fatto sarà un governo di unità nazionale.

L’intera riforma costituzionale è stata approvato all’unanimità dal Parlamento keniano, anche se le nomine ufficiali dei due vice premier e dei membri del governo avverrà in questi giorni. Si seguirà lo stesso metodo anche nelle amministrazioni pubbliche per favorire una maggiore coesione, anche locale, delle differenti forze politiche. Lo scorso 20 marzo è stata anche costituito il Comitato indipendente di revisione che dovrà indagare sullo svolgimento e sull’esito delle elezioni. L’organo sarà presieduto da un giudice sudafricano e composto da altri sei giudici di cui quattro keniani e nel giro di alcuni mesi dovrà comunicare i risultati al presidente Mwai Kibaki, il quale a sua volta avallerà eventuali procedimenti in sede giudiziaria e politica. Sarà difficile però che maggioranza ed opposizione, ora unite, ritornino a farsi guerra su questi punti, perché i problemi importanti delle prossime settimane saranno altri. Innanzitutto Il governo di unità nazionale deve frenare le iniziative dei falchi contrari all’accordo che sono ancora molti; c’è poi ancora da completare la pacificazione delle regioni della Rift Valley ancora colpite negli scorsi giorni da pesanti violenze, perlopiù di matrice etnica. Gruppi armati di giovani kalenjin proseguono nell’aggressione delle comunità Kikuyo e Kisii con pretesti politici che coprono rancori di altra natura si sono inserite di prepotenza nei conflitti tribali che già coinvolgevano i Luo.

Altro serio problema è la redistribuzione delle terre e soprattutto i diritti violati degli sfollati che vogliono tornare a casa. La grande proprietà in passato interamente in possesso dei colonizzatori britannici è stata ripartita, dopo l’indipendenza, secondo criteri di appartenenza tribale ed alcuni gruppi hanno finito con il prevalere su altri, tramandandosi i terreni ed allargandosi oltre il dovuto. Il governo centrale non è mai riuscito a fare ordine e basta il minimo accenno di tensione per appropriarsi di aziende e terreni altrui. Circa un mese fa un gruppo ribelle di miliziani ugandesi è entrato nei territori di confine, rivendicando le terre e costringendo alla fuga un migliaio di persone e, pur scacciato dalla reazione delle forze militari keniane, prosegue la sua lotta al confine. In Kenya, nella zona orientale, è in corso una guerra fra clan per il possesso dei terreni, mentre nella capitale Nairobi è eclatante il disagio giovanile, di cui sono fedele specchio le enormi baraccopoli, dove episodi di razzismo etnico si uniscono a fenomeni di guerriglia fra gruppi giovanili allo sbando. Ecco perché la pace in Kenya, difficilmente raggiunta, sarà ancora più dura da mantenere.


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