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La Merkel alla Knesset: difenderemo Israele
dal nostro corrispondente PIERLUIGI MENNITTI

[19 mar 08] Se oggi Angela Merkel risulta imbattibile in tutti i sondaggi per le elezioni del prossimo anno, lo deve quasi esclusivamente all’immagine costruita nell’azione in politica estera. La Germania è uno dei pochi Paesi in cui la politica estera conta quasi più di quella interna. La cosa ha un po’ a che fare con il senso di colpa che i tedeschi si portano appresso dalla Seconda guerra mondiale. La considerazione che all’estero si ha della Germania, la fiducia nel senso per la pace e la democrazia che i tedeschi nutrono dopo la grande colpa del nazismo, sono elementi più importanti della crescita economica o dei dati sulla disoccupazione. Figuriamoci quando di mezzo c’è lo Stato di Israele.

Così la visita ufficiale a Gerusalemme della cancelliera è stata la prova del fuoco per decretarne, ufficialmente, la statura di donna di Stato. La Merkel ha superato la prova, a pieni voti. E’ stata il primo capo di governo a parlare alla Knesset, il Parlamento israeliano. Prima di lei, davanti all’assemblea erano stati ammessi solo capi di Stato. Ma al di là dell’evento, quello che ha colpito è stato il discorso ad un tempo emozionato e sereno. Pronunciato in tedesco. Inutile sottolinearne il significato simbolico. Un discorso chiaro e senza fronzoli. Privo di equivoci sia verso il passato che verso il futuro. Eppure non tutto è stato semplice. La cancelliera ha saputo aggirare con grazia le proteste di una pattuglia di deputati irriducibili che ha tentato di impedirle l’ingresso nell’aula. La Merkel è straordinaria in questi frangenti. Non si è offesa. Non s’è scomposta. Ha atteso con garbo che le fosse consentito l’ingresso, poi s’è mossa con determinazione.

La Germania di oggi si inchina di fronte alle vittime. Di fronte ai sopravvissuti. E di fronte a coloro che li hanno aiutati a sopravvivere, i tanti eroi nell’ombra che hanno saputo mantenere umanità e compassione nei momenti terribili in cui era più utile e più semplice seguire la corrente. La Germania prova vergogna: una vergogna aperta, gridata, pubblica. Non la nasconde più come accadeva negli anni del dopoguerra. E’ riuscita a sottrarla alla voglia di dimenticare e ne ha fatto un punto irrinunciabile della sua esistenza: musei, esposizioni, mostre, monumenti commemorativi ovunque mantengono viva la memoria. E siccome la politica è ricordo del passato ma anche impegno per il presente, l’amicizia della Germania con Israele (due Paesi uniti per sempre dal ricordo della Soha, ha detto la Merkel) ha conseguenze ben precise anche nella politica estera tedesca.

Quello che alla fine vale più di tutto è l’impegno della Germania per la difesa del diritto all’esistenza dello Stato di Israele. Non è solo una dichiarazione di principio. Berlino mantiene rapporti cordiali con molti Paesi arabi e ospita sul suo territorio una vasta comunità islamica, che cerca con fatica e tolleranza di integrare, provando a rispettarne usi e costumi, civili e religiosi. Ma nessuna concessione verrà fatta a danno di Israele e soprattutto della comunità ebraica che in questi ultimi anni cerca di rinascere proprio nella terra da cui era stata drammaticamente espulsa. Nessuna indulgenza per i razzi di Hamas. Nessun accomodamento per le furbizie del regime iraniano, verso il quale il governo tedesco non esclude di inasprire le sanzioni. Su questo punto Berlino non transige. Fino al punto di rilanciare una vecchia battaglia caduta in sordina: il futuro ingresso di Israele nell’Unione Europea.

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