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La casa di Augusto apre le porte ai visitatori
di ROSSELLA FABIANI

[18 mar 08] Fermo aveva lo sguardo, e splendenti erano gli occhi azzurri. La fronte era alta, biondi erano i capelli e un po’ arruffati. La sua statura era al di sotto della media, e per recuperare in parte lo svantaggio portava alte calzature. Così gli storici ci restituiscono l’immagine di Augusto. E sulla dolce altura del Palatino, il luogo dove Romolo tracciò il solco, si erge tuttora “intra pomoerium”, entro le mura, la sobria dimora di Augusto. Il sito, finora escluso dal circuito di visita, è stato aperto ai visitatori del nobile colle, dopo trent’anni che questi ambienti avevano visto la luce con gli scavi condotti dal professor Gianfilippo Carettoni alla fine degli anni Settanta del secolo scorso. L’abitazione di Augusto sorgeva accanto al tempio di Apollo, a dimostrazione della parentela che faceva del giovane principe il favorito del dio purificatore nell’abbattimento degli assassini di Cesare, suo prozio. Il legame si innestava in una leggenda secondo la quale la madre Azia lo aveva messo al mondo fecondata da Apollo. Il cielo era sotto la costellazione della Bilancia quando sul Palatino, l’alba del 23 settembre del 63 avanti Cristo vede nascere Ottavio. Era l’anno 691 ab urbe condita, dalla fondazione di Roma. Al momento della nascita il bambino ebbe semplicemente il nome di Octavius. Nulla di più poteva offrirgli il padre oltre la ripetizione del nome, quello di Caio Ottavio; nonostante il genitore fosse stato governatore della Macedonia. Ebbe, tuttavia, un soprannome onorifico, quello di Thurinus, dalla vittoria che il padre aveva riportato in territorio di Thurii (Turi) contro i seguaci di Spartaco e di Catilina. Ma era ben poca cosa. La madre, Azia, invece, era nipote di Giulio Cesare in quanto figlia della di lui sorella Giulia, sicché il bambino si trovava a essere il pronipote di un uomo che aveva già mostrato al mondo quanto fosse grande la sua ambizione. Grazie alle vittorie di Cesare l’Impero romano, infatti, poteva vantare di avere superato i domini di Ciro e del grande Alessandro.

Il divo Cesare vedeva nel nipote la propria immagine rovesciata: alle sue intemperanze da capitano coraggioso corrispondeva il sommo equilibrio del giovane temporeggiatore, la prudenza, la misura in ogni cosa. Al grande giocatore d’azzardo faceva riscontro il freddo calcolatore. Sanguigno Cesare, esangue Ottavio. “Affrettati lentamente”, amava dire in greco il ragazzo che studiava l’antica lingua alla scuola del grande retore Apollodoro di Pergamo. Privo di eredi maschi, il grande generale presto cominciò a vedere nel nipote qualcosa di più. Con lungimiranza politica lo colma di onori nominandolo, a soli sedici anni, “praefectus urbi”, l’anno prima lo aveva immesso nelle file del patriziato, con una certa forzatura perché a tale classe privilegiata si apparteneva soltanto per diritto ereditario. Fino a designarlo suo erede principale, adottarlo e trasferirgli il proprio nome affinché perpetuasse la famiglia e gli succedesse nella guida del nuovo Stato che stava costruendo sulle ceneri della repubblica. Cesare affida le sue intenzione al testamento che riscrisse segretamente nella villa di Labicum (Labico). Siglandolo definitivamente il 13 settembre 45. Ottavio aveva diciotto anni. Ma già Cesare leggeva in lui il nome di Augusto. E il destino doveva compiersi prima del previsto. Il 15 marzo del 44 avanti Cristo, Cesare riceve la ventitreesima pugnalata, quella mortale, per mano di Marco Bruto. E guardando negli occhi il suo assalitore disse: “Anche tu, Bruto, figlio mio”. Proprio lui, infatti, il figlio di Servilia, che era stata sua amante, lo uccide. Comincia l’ascesa inarrestabile di Ottaviano. Dopo la gloria di essere stato adottato dal divo Giulio Cesare, a venticinque anni, al terzo matrimonio, si univa alle gloriose famiglie dei Claudi e dei Livi, appartenenti al più alto patriziato della repubblica da sempre ostili a Cesare, sposando la giovanissima Livia Drusilla, giudicata la più eminente delle romane per stirpe e onestà. Pur di averla in sposa, Ottaviano pretese dal vecchio Tiberio Nerone Claudio che si separasse dalla bionda Livia cedendogliela in moglie nonostante fosse incinta del suo secondo figlio. Il matrimonio fu celebrato che Livia era incinta di sei mesi. Nella mente del grande imperatore già avevano preso forma la freddezza e l’astuzia ammantate di atarassia.  Sebbene strumento di una intesa politica, Ottaviano amò realmente Livia. Insieme si trasferirono a vivere sul Palatino. 

La Casa di Augusto costituisce il monumento emblematico del colle, al quale pochi altri possono venire paragonati per importanza storica e interesse archeologico, e nel quale si rinvengono le più alte espressioni artistiche pittoriche. Decorati con affreschi e stucchi, i tre nuovi ambienti aperti al pubblico rappresentano un importante esempio di pittura romana della fine del I secolo avanti Cristo e il risultato di una impegnativa opera di restauro, guidata dalla dottoressa Gianna Musatti, che ha interessato il grande “oecus” (l’ambiente di soggiorno e di ricevimento), l’ambiente della rampa e due stanze sovrapposte. Secondo il gusto decorativo pittorico augusteo, sul disegno prevale il colore abbagliante delle forme, grazie all’uso dei cinabri, delle porpore, dell’oro e del ceruleo egiziano. Nella stanza superiore (il cosiddetto studiolo di Augusto già aperto al pubblico) spiccano gli elementi del culto isiaco e il regale ceruleo egiziano. La stanza inferiore mostra una decorazione di tipo scenografico con immaginarie aperture laterali, uno sfondo cittadino e un fregio con esseri marini. Nell’ “oecus” sono rimaste le impronte degli intarsi marmorei con le quali era stato decorato il pavimento e i frammenti degli affreschi della parte superiore delle pareti con immagini di paesaggi, scene figurate, elementi architettonici e una maschera del tipo delle grottesche. Nell’ambiente della rampa la decorazione delle volte è una mirabile composizione di lacunari policromi.


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