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Perquisizioni online, torna l'incubo della Stasi
di GIOVANNI BOGGERO

[17 mar 08] Nel 2007 era perfino assurto al rango di parola dell’anno. Neanche un anno dopo, il termine Bundestrojan rischia di scomparire dai più prestigiosi dizionari della lingua tedesca. Il vocabolo, portato in auge dall’attuale ministro degli Interni Wolfgang Schäuble (Cdu), indica una particolare forma di perquisizione online, effettuata dalla polizia e dai servizi segreti su strumenti elettronici appartenenti ad individui in capo ai quali pendano comprovati motivi di allarme per l’ordine pubblico. Tale misura, approntata già dal precedente ministro Otto Schily (Spd) nel 2005, è tornata nuovamente di estrema attualità all’indomani dei falliti attentati terroristici dell’estate 2006 sui treni per Dortmund e Koblenz. Da quel momento in poi, infatti, la sicurezza nazionale è diventata un capitolo di fondamentale importanza nell’agenda del Ministro degli Interni, il quale, resosi conto di come Internet fosse diventato un potente mezzo al servizio del verbo jihadista, ha lanciato una crociata per rattoppare le assai crivellate maglie della difesa dello Stato. Dopo un database per i sospettati di terrorismo, la proposta di restrizione del porto d’armi e l’idea della banca dati per quei cittadini tedeschi che si convertono all’Islam, lo scorso settembre Schäuble chiese di intensificare le misure di prevenzione attraverso un maggiore controllo della rete, affinché essa non diventasse “un nuovo spazio di impunità”.

Come abbiamo anticipato, tuttavia, il termine Bundestrojan rischia di sparire presto dalla circolazione, almeno stando alla recente sentenza della Corte Costituzionale di Karlsruhe, che ha bocciato senza appello una legge particolarmente restrittiva della libertà personale approvata lo scorso anno dal Land Nordrhein-Westphalen. Con una procedura di bilanciamento degli interessi, la Consulta ha infatti rilevato come la tutela della privacy dei cittadini, quella telematica in questo caso, non possa mai essere discrezionalmente limitata da operazioni di polizia, nemmeno se queste siano dovute ad esigenze di pubblica sicurezza. Nel sancire la superiorità di quello che nei Paesi di tradizione anglosassone è chiamato “right to be left alone”, la Corte ha desunto dal Grundgesetz un nuovo diritto di rango costituzionale, vale a dire la “garanzia alla riservatezza e all’integrità dei sistemi tecnico-informatici”. Il tutto nella consapevolezza che non esista soltanto una difesa attraverso lo Stato, ma anche una dallo Stato medesimo, i cui vertici, nel violare determinati diritti fondamentali, spianerebbero la strada alla disgregazione dello Stato di diritto. “Si tratta di una pietra miliare nella difesa dei dati personali e quindi della libertà”, ha commentato la Fondazione Naumann facente capo al partito liberale, il quale, nell’aprile prossimo, ha in programma un convegno cui parteciperanno coloro i quali hanno sollevato la questione di legittimità presso la Corte.

Il pronunciamento costituisce dunque una sonora sconfitta per la linea politica della Cdu in generale e di Schäuble in particolare, il quale, tuttavia, ne ha paradossalmente ricavato un’interpretazione a lui favorevole, sostenendo che con tale sentenza la Corte avrebbe finalmente riconosciuto il termine “Online-Durchsuchung” (perquisizione online). Per tale ragione  Schäuble si appresta a presentare un disegno di legge che istituzionalizzi al più presto questa soluzione anche a livello federale. Nel caso specifico considerato dalla Corte, l’utilizzo dei Bundestrojaner non è comunque stato interamente inibito giacché le forze dell’ordine potranno farne uso in casi del tutto eccezionali e previo consenso dell’autorità giudiziaria. A dirsi soddisfatta della sentenza è stata invece la guardasigilli socialdemocratica Brigitte Zypries, colpevole però, secondo alcune associazioni per la difesa della privacy, di aver fatto approvare un testo, lo scorso novembre, con il quale si sarebbe consentito il monitoraggio e l’archiviazione per sei mesi di tutti i dati telefonici e telematici relativi alle comunicazioni elettroniche. I più colpiti erano stati medici, avvocati e giornalisti, i quali avevano lamentato che la normativa, entrata in vigore a gennaio, non soltanto conculcasse le loro libertà, ma non avesse nemmeno preso in considerazione le cabine telefoniche pubbliche, gli Internet café e le università.

A riaccendere lo scontro sull’argomento è stato, soltanto pochi giorni fa, l’accordo bilaterale siglato da Germania e Stati Uniti che consentirà di velocizzare le procedure affinché i due Paesi possano avere accesso ai database relativi alle impronte digitali e al Dna delle rispettive cittadinanze. Il rischio paventato da molti è che la condivisione di informazioni, limitata per ora ai sospettati di terrorismo, si estenda progressivamente ad altre categorie di persone fino ad erodere in maniera pericolosa le libertà civili degli individui. I giudici e la Corte costituzionale hanno fin qui mostrato, comunque, di essere particolarmente sensibili nel salvaguardare un diritto inviolabile dell’uomo, qual è quello alla riservatezza. Lo conferma un’ulteriore decisione presa dalla Consulta appena l’altro ieri, con la quale è stata inibita alla polizia la facoltà di filmare,a tappeto e senza ragioni precise, le targhe degli autoveicoli che si muovono sulle strade al fine di confrontarle con gli elenchi delle auto rubate. Il monitoraggio, sostiene la sentenza, rischia infatti di dare una fastidiosa impressione di intimidazione e di occhiuta onnipresenza dello Stato.

Nonostante ciò, agli occhi di molti tedeschi, l’insieme di misure preventive sin qui citate evoca il lugubre spettro del ritorno alla Stasi, il servizio di sicurezza della Ddr così ben documentato nella sua attività di intimidazione e aggressione nel recente film Le vite degli altri di Florian Henckel von Donnersmarck. Il timore pare in qualche misura fondato se si pensa che proprio attraverso lo spionaggio e la violazione della privacy, qualche tempo fa, il fisco tedesco è riuscito ad entrare in possesso delle informazioni riservate riguardanti i conti corrente aperti da numerosi cittadini tedeschi nel Principato del Liechtenstein.

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