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Spagna, Rajoy non è l'uomo per questa stagione
di ENZO REALE

[14 mar 08] Erano due le possibili conclusioni che dirigenti e militanti del Partito popolare potevano trarre dalla sconfitta elettorale di domenica scorsa: avviare una seria riflessione sull'oggettiva incapacità della destra spagnola di conquistare consensi al di là della propria base tradizionale o cullarsi nell'illusione di aver “perso bene”, afferrandosi all'aumento della rappresentanza parlamentare e delle percentuali di voto. La prima strada avrebbe supposto un esercizio di coraggio e di realismo evidentemente estraneo agli attuali vertici popolari che, infatti, hanno preferito imboccare la scorciatoia: passare pagina come se nulla o quasi fosse successo, confidando in tempi migliori. E’ difficile non leggere in questa chiave l'annuncio di Mariano Rajoy di ricandidarsi alla presidenza del partito in occasione del congresso convocato per il prossimo giugno: la più che probabile riconferma gli consentirà di presentarsi nel 2012 per la terza volta consecutiva come aspirante alla Moncloa. A sorprendere non è tanto che Rajoy ci riprovi quanto l'unanimità acritica che ha accolto la sua decisione. Tutti i pezzi grossi del Pp, dalla presidentessa della Comunità di Madrid Esperanza Aguirre al suo omologo valenciano Francisco Camps fino al grande escluso dalle liste - nonché sindaco della capitale - Alberto Ruiz-Gallardón, si sono inmediatamente dichiarati a favore della continuità scartando la possibilità di candidature alternative.

“Mi presento perché credo che sia la scelta migliore per il Pp e per la Spagna”, ha affermato apoditticamente davanti ad un comitato esecutivo plaudente. “Renderò nota la mia squadra il giorno prima della votazione”, ha aggiunto, lasciando nell'aria la prima delle grandi questioni senza risposta: se la compagine della campagna elettorale non era la sua, chi ha fatto finora la formazione? Anche se presa nel rispetto delle procedure democratiche interne - non si dimentichi che Rajoy non fu eletto ma designato come successore dallo stesso Aznar - la decisione di continuare a dirigere il partito passando per un congresso rischia di rivelarsi un passo falso dalle conseguenze nefaste. Se l'obiettivo del Pp fosse quello di inanellare una serie di sconfitte dignitose e di consolidarsi come forza di opposizione permanente, allora il buon Mariano sarebbe l'uomo giusto al posto giusto. La posta in gioco però è impedire che i socialisti mantengano le redini del governo della nazione ad oltranza, una prospettiva tutt'altro che improbabile se si guarda alla storia recente del paese. Senza contare i primi due esecutivi della transizione, dal ritorno della democrazia ad oggi il Psoe ha prevalso in sei tornate elettorali contro le due dei popolari. La destra ha vinto solo con Aznar, l'unico leader che sia riuscito davvero a proporre a quella parte di opinione pubblica non ideologicamente schierata a sinistra un messaggio di rottura e di innovazione.

Il Pp può interrompere l'egemonia della izquierda, forte di una maggioranza strutturale nel paese, solo se riesce a mobilitare l'elettorato con una proposta rassicurante ed appassionante allo stesso tempo, che abbandoni paure e programmi di corto respiro in favore di un progetto a lunga conservazione. Rajoy non è l'uomo per questa nuova stagione politica che necessariamente si impone anche se nel partito fanno orecchie da mercante. La sua è un'ostinazione perdente, frutto di logiche ereditate dall'aznarismo che, mentre cambiava la Spagna, blindava il Partito popolare come una cassaforte. Da qui nasce la tendenza al plebiscito che ancora oggi condiziona l'evoluzione di una destra che pretende di essere di governo ma finisce per ritrovarsi quasi sempre all'opposizione. Se i popolari non rifondano il discorso politico al loro interno, percorrendo quel cammino che separa il dichiararsi liberali dall'esserlo sul serio ed aprendo il dibattito ad una modernità alternativa al progressismo di facciata che ammanta la società spagnola; se invece di combattere battaglie di retroguardia - per quanto legittime e spesso condivisibili - a rimorchio di parole d'ordine altrui (siano quelle della Chiesa o dell'Associazione delle vittime del terrorismo), non cominciano a concepirne e diffonderne di proprie, allora la partita sarà chiusa per gli anni a venire. La scelta di un Rajoy-ter è prima di tutto la rinuncia da parte della classe dirigente del Pp ad aprire una discussione su se stessa, forse perché in fondo più che l'esigenza di un rinnovamento ciò che interessa davvero è posizionarsi tatticamente in vista di un’operazione-successione che, per quanto procrastinata, prima o poi risulterà inevitabile.

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