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Il tesoretto scomparso e la crescita zero
dettano i temi della campagna elettorale

[13 mar 08] Non esiste alcun tesoretto. O meglio, se esiste, lo sapremo soltanto a giugno. Questo, in sintesi, quanto emerge dalla trimestrale di cassa appena pubblica dal governo. I numeri del bilancio reale dello Stato erano molto attesi, soprattutto perché sarebbero stati la base su cui i candidati leader avrebbero potuto “spendere” gli ultimi colpi di scena elettorali. Ed invece l’amara sorpresa: la previsione per il 2008 prevede una crescita pari a zero; i conti sono presto fatti: crescita ferma, spesa in aumento, italiani più poveri. Le previsioni ministeriali quotavano la crescita attorno al punto e mezzo percentuale. La verità è che invece di crescita non se ne può proprio parlare. Se a questo si aggiunge che l’inflazione è ancora in rialzo, sfiorando quota 2,6 per cento, si intuisce come la previsione di pareggiare il bilancio dello Stato entro il 2011 espressa da Tommaso Padoa Schioppa è quanto mai irrealistica. Silvio Berlusconi lo aveva capito già da tempo, non a caso in queste prime battute di campagna elettorale è guidato da un sano realismo. Nessuna promessa fantasmagorica da realizzare con la bacchetta magica, ma soltanto tanta pazienza e altrettanto spirito di sacrificio. I tre vincoli essenziali definiti nel programma del Pdl (“superamento della crisi economica, impegni europei, instabilità dei conti nazionali”) riflettono le difficoltà da superare in tempi rapidi.

Diverso l’atteggiamento di Walter Veltroni che, nonostante il semaforo rosso ministeriale, sembra intenzionato a non arrestare il suo pullman di costose promesse. Salario minimo gararantito, ristrutturazioni scolastiche (sia sul fronte immobiliare che retributivo), tagli alle aliquote fiscali: l’ottimismo democratico deve necessariamente scontrarsi con il realismo economico. Ad accendere il dibattito all’interno del Pd ci ha pensato Roberto Gualtieri, vicepresidente della Fondazione Gramsci: “Sarebbe bene che il Pd si desse una mossa e aggiornasse in fretta le proprie categorie”. La relazione unificata sull'economia e la finanza pubblica indica poi che la pressione fiscale calerà nel 2008 dal 43,3 per cento del 2007 al 43,1 per cento (dati Istat), per arrivare al 42,9 per cento nel 2009. Il taglio netto e deciso del cuneo fiscale a questo punto scala la classifica delle priorità nazionali, piazzandosi inevitabilmente al primo posto. Sempre secondo la relazione del ministero dell'Economia, “per stimolare la crescita della produttività occorre legare maggiormente i salari ai risultati aziendali. La bassa crescita dei salari italiani è essenzialmente una conseguenza della scarsa dinamica della produttività”.

Molti nel centrodestra, Tremonti in primis, sono convinti che per ribaltare l’andamento si deve intervenire sulla fiscalità aziendale. I salari non possono crescere se la produttività è bloccata. Soltanto producendo, vendendo e consumando, si può garantire una circolazione di denaro superiore e, di riflesso, un aumento dei salari. Il denaro riservato ai costi del personale è direttamente proporzionale al fatturato aziendale: più liquidità per l’imprenditore significa maggiore possibilità di investimenti sulle risorse umane. Abbassare le tasse alle aziende non giova soltanto al tanto vituperato “padrone” di sinistra memoria, ma anche, se non soprattutto, al lavoratore che potrebbe avvantaggiarsene direttamente. Perché la sinistra lo capisca è necessario però che rinuncino al paradigma secondo cui tutto quello che è impresa significa guadagno personale, negando invece concetti complementari (e fondamentali) quali risparmio, reddito e investimento. (ste. cal.)

 



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