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Volkswagen-Porsche, un matrimonio in famiglia
di
GIOVANNI BOGGERO

[06 mar 08] La fitta serie di tagli di migliaia di posti di lavoro recentemente annunciata da alcuni grandi gruppi industriali tedeschi, la crescente tendenza alla delocalizzazione e la mai mutata velleità di fusioni tra colossi imprenditorialmente capaci, non sono altro che aspetti diversi di un medesimo fenomeno, quello cioè del rafforzamento e del consolidamento del settore industriale tedesco di fronte alle nuove sfide poste dalla globalizzazione. In questo contesto va collocato il disegno di Ferdinand Piëch, azionista di Porsche e presidente del consiglio di sorveglianza di Volkswagen, di dar vita ad un nuovo gigante europeo dell'auto. Porsche acquisirà infatti più del 50 per cento del pacchetto azionario della casa automobilistica di Wolfsburg, mentre quest'ultima aumenterà la propria presenza in Man e Scania, lanciando quindi anche un nuovo duello globale sul fronte dei veicoli commerciali. Il fil rouge che lega le due case automobilistiche è però tutto fuorché casuale. A fondare il gruppo Volkswagen fu infatti nei primi anni Trenta proprio Ferdinand Porsche, che inventò si devono non soltanto gli innovativi carri armati progettati per conto del regime nazista, ma anche utilitarie di successo (si pensi innanzitutto al Käfer, più noto qui in Italia con il nome di Maggiolino) nonché auto potenti e sfarzose.

Nel corso del tempo, Volkswagen e Porsche sono sempre state interessate da una proficua collaborazione, tanto che nel passato alcune vetture uscite dalla fabbrica di Wolfsburg vennero confezionate con l'ausilio di alcune componenti prodotte dall'impresa di Stoccarda. Più nello specifico, il percorso di avvicinamento tra le due società, facenti capo a proprietari diversi anche se variamente legati da vincoli di parentela, ha radici più recenti. Soltanto nel settembre 2005, infatti, il gruppo Porsche, nella persona del suo amministratore delegato Wendelin Wedekind, ha finalmente avanzato la prima proposta di partecipazione al capitale azionario di VW per una quota pari al 18,6 per cento. In questo modo l’Auto del popolo venne salvata da acquisizioni indesiderate in un momento non particolarmente felice della propria storia: ai costi troppo elevati che mettevano a rischio le capacità di affrontare la concorrenza asiatica di Toyota e di Renault-Nissan si aggiunse in quel periodo il clamoroso scandalo a sfondo sessuale che coinvolse l'allora direttore del personale Peter Hartz, oltretutto autore della impopolare riforma del mercato del lavoro durante il governo Schröder. L'anno successivo, sempre nell'ambito del progetto di ristrutturazione del gruppo, toccò all'amministratore delegato Bernd Pischetsrieder dimettersi e lasciar spazio a Martin Winterkorn, fino ad allora ad della controllata Audi. Contemporaneamente Porsche incrementava la sua quota di presenza in Volkswagen, arrivando ad acquisirne prima il 27 per cento e successivamente, nel marzo del 2007, quasi il 31.

Ad aprire definitivamente la strada verso un controllo completo di Volkswagen da parte di Porsche è stata una sentenza della Corte di Giustizia del Lussemburgo, intervenuta lo scorso ottobre. In essa si è decretato che il colosso automobilistico di Wolfsburg non avrebbe più potuto giovarsi di una legge emanata nel 1960 dalla Repubblica federale per metterla al riparo da scalate societarie sgradite. La normativa, oltre a limitare il diritto di voto per i maggiori azionisti, impediva al gruppo di sganciarsi totalmente dalla presenza pubblica nel proprio board, di fatto ostacolando la libera circolazione dei capitali. Dopo il pronunciamento della Corte, perciò, per Ferdinand Piëch, settantenne nipote del fondatore, la strada verso la saldatura tra i due “gioielli di famiglia” è stata definitivamente spianata. Di qui l'opa finale lanciata da Stoccarda lunedì scorso. Ora non resta che aspettare il via libera dell'antitrust tedesco e la modifica da parte del Bundestag della legge Volkswagen, con la quale si intende rimodulare secondo criteri non ostili al mercato la presenza dell'operatore pubblico nel gruppo. Nel frattempo, l'attenzione degli osservatori è concentrata tanto sulle sinergie industriali che un simile binomio potrà offrire al mercato automobilistico, quanto sugli effetti competitivi che il gruppo industriale scatenerà nei mercati internazionali.

L'iniziativa non è positiva soltanto per Volkswagen, che potrà così poggiare su più solide fondamenta, ma anche per Porsche, la quale avrà infatti la possibilità di abbattere gli elevati costi che dovrà affrontare nel momento in cui adeguerà le proprie vetture ai nuovi standard anti-inquinamento previsti dall'Ue. La fusione, tuttavia, non piace ai sindacati che temono un drastico ridimensionamento dell'elefantiaco personale di Volkswagen nonché la riduzione della loro presenza nel nuovo consiglio di amministrazione, nodo in effetti ancora da sciogliere e sul quale è prevista una lotta serrata tra Wedekind e Piëch. Per ora i titoli di Porsche fanno registrare un discreto rialzo, mentre più incerta rimane la quotazione di Volkswagen. Vedremo come reagirà il mercato nel lungo periodo.



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