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Liste elettorali: il Pd sembra la casa del Grande Fratello
di PAOLA LIBERACE

[03 mar 08] Il mondo è una foresta di simboli, diceva Baudelaire. Dev’essere d’accordo anche Veltroni, stando ai candidati che figurano nelle sue liste: molti dei quali, invece che per essere bravi politici, sembrano esser stati scelti perché destinati a incarnare ideali e valori collaterali, o addirittura estranei - il tutto all’insegna del “nuovo”, naturalmente. Prima Colaninno simbolo degli imprenditori (inutile chiedersi come faccia a essere davvero imprenditore uno che progetta di impegnare il suo decennio migliore, dai trentacinque ai quarantacinque anni, tra presidenze giovanili e seggi alla Camera, invece che a prendere in mano la baracca dal padre); poi l’operaio superstite della ThyssenKrupp, povero ragazzo, come simbolo degli operai; poi la Madìa, collaboratrice di Letta minor (nonché fidanzata del figlio di Napolitano) come simbolo delle giovani di belle speranze (Veltroni la chiama ricercatrice, la bibliografia non lo conferma ancora, ma si farà…). E’ toccato pure a una dipendente Asl, simbolo dei lavoratori dipendenti (ricordiamo quanti dipendenti Usl infilava il pentapartito nelle liste, ma tant’è, quel che tocca Veltroni sembra nuovo) e a una lavoratrice dei call center (simbolo dei precari). Giovedì è stato anche il giorno in cui una personalità politica del Lazio, la cui candidatura era già stata decisa, è stata promossa (o retrocessa) a simbolo dei gay, dopo la protesta della categoria che reclamava un “simbolo” tutto per sé. E domenica, infine, è stata annunciata la candidatura di Massimo Calearo, presidente di Federmeccanica, con lo scopo dichiarato di guadagnare terreno nel Nord-Est.

Capiamoci: anche Berlusconi ha le sue trentenni (lui le chiama “stralaureate” e “sgobbone”, e se non altro ci piace questo rivestirle di umiltà), e ha avuto i suoi sfortunati “professori”. In una certa misura, del resto, è sempre stato praticato l’inserimento nelle liste di alcune personalità esterne alla politica per dare lustro, nuove idee e forme, più forte rappresentanza sociale. Ma il “simbolismo” veltroniano è tutt’altro. Da un lato, il tentativo di prendere le redini di un partito il cui corpaccione non lo ama, sostituendo quadri recalcitranti (quelli delle ovazioni congressuali a D’Alema, o quelli che Bossi chiama i democristianoni) con personale con arte non definibile e nessuna parte, che gli sarà fedele perché gli deve tutto. (Lo fece anche Luigi XIV, ma la Madia non ci pare Colbert). Dall’altro, il tentativo di ricostruire nella somma di facce la molteplicità simbolica soppressa sulle schede: se l’Unione era il teatro della sinistra, il Pd è la Casa del Grande Fratello della sinistra.

Certo, è anche colpa del “porcellum”: perché gente simile non prenderebbe un voto in una vera battaglia di collegio, o con un serio voto di preferenza. Ma si tratta di una lettura quanto meno distorta dell’obiettivo che l’attuale legge elettorale si proponeva eliminando le preferenze, e che costituisce uno dei suoi pochi vantaggi: la possibilità di portare in Parlamento personalità di elevata competenza e prestigio, di forte ruolo sociale, altrimenti stritolati dai re delle tessere (per equità, e tanto per capirci, i Veronesi, gli Ichino, magari qualche blogger intelligente) o costretti a nascondersi nell’ipocrisia del “collegio sicuro”. Al contrario, la personale rilettura veltroniana del sistema serve a mandare in parlamento una classe di incapaci, che non sanno fare politica (come diceva in modo eccellente Raffaele Bonanni a Ballarò l’altra sera). Così si alimenta l’antipolitica con il dilettantismo, si impoverisce ancora il ruolo del Parlamento, spostando ulteriormente il livello delle vere decisioni, delle vere mediazioni, delle vere sintesi politiche e pratiche nell’amministrazione, nel sottogoverno, negli enti di cui l’opinione pubblica poco sa e che ancor meno controlla. Così si dà spazio ai mestieranti e ai biscazzieri, a quei brasseurs di mezza tacca in cui ci si imbatte, imperterriti, sempre uguali. In questo mondo seminterrato si annida l’aiutino, la consulenza al figlio, il collateralismo, il particolarismo, l’irresponsabilità. Questa è la gente che fa odiare la politica.

Fare le liste è arte difficile, e materia di casi particolari più che di regole teoriche. Un principio generale, però, è forse utile. Nel Psi di Craxi si teorizzava il cocktail in adeguate proporzioni: un terzo di politici professionali (funzionari ed eletti di lungo corso, garanti della continuità degli orientamenti politici, dei grandi rapporti economici, istituzionali, sociali), un terzo di amministratori locali (che portavano tessere, esperienze di governo, pezzi di territorio); un terzo di personalità delle società civile (che portano competenze tecniche, nuove linee ideali). Molto equilibrato, anche se non ha sempre funzionato. Piuttosto che il simbolismo veltroniano, perché non ripartire da qui?



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